Code bibliche di vacanzieri e camion. Fra gli incubi di un'estate sempre più rovente in Europa, anche sul fronte dei trasporti, si materializza in queste ore quello di Dover, porto d'accesso e di partenza per antonomasia, sulla costa inglese, per i mezzi e le persone che attraversano la Manica tra il Regno Unito e la Francia. Un nuovo esempio di caos, dopo quello che ha investito nelle ultime settimane diversi aeroporti europei, sullo sfondo degli effetti della ripresa dei viaggi seguita alla fine delle restrizioni della pandemia e al mancato ripristino tempestivo qua e là degli organici tagliati all'epoca del lockdown. Ma pure - in questo caso specifico - delle conseguenze dirette o indirette della Brexit: conseguenze che diventano l'occasione per un ennesimo botta e risposta fra Londra e Parigi, a colpi di recriminazioni incrociate e rimpallo di responsabilità.
Il via a un weekend fra i più trafficati dell'anno, segnato da uno dei picchi del tradizionale esodo estivo di turisti provenienti dal Regno e diretti nel continente, ha visto proiettare anche ieri immagini di scene da girone dantesco o quasi; con schiere di veicoli in fila, bloccati dagli ingorghi e dal passaggio a rilento ai posti di frontiera. Una situazione iniziata, in realtà, da giovedì sera e che aveva indotto già venerdì mattina le autorità portuali di Dover a dichiarare lo stato di allerta («critical incident») e a diramare un avvertimento a tutti i viaggiatori.
La colpa, nelle parole del governo di Londra e dei funzionari dell'isola, va addebitata questa volta tutta alla Francia, per non aver provveduto a garantire una copertura minimamente sufficiente del personale di polizia e degli addetti ai controlli d'ingresso: personale «miseramente inadeguato», secondo la denuncia dei responsabili del porto di Dover, di fronte al «prevedibile» flusso da dopo Covid e alle esigenze d'un regime post Brexit ormai pienamente vigente da più di un anno e mezzo.
Mentre i francesi replicano puntando il dito in primis contro la presunta cattiva organizzazione del controllo passaporti da parte britannica e i contraccolpi di un divorzio voluto in fin dei conti dal Regno; pur senza poter negare qualche propria carenza di organico, che il governo di Parigi fa ricadere peraltro su un «incidente tecnico imprevisto» sulla linea ferroviaria dell'Eurotunnel (incidente imprecisato e smentito dal gestore) che avrebbe contribuito all'arrivo ritardato di parte dello staff dei suoi servizi di dogana. La ministra britannica degli Esteri Liz Truss - aspirante leader Tory nella corsa alla successione a Boris Johnson a Downing Street, impegnata a dare un'immagine più muscolare del rivale Rishi Sunak e dello stesso BoJo anche sul fronte dei nodi irrisolti con Bruxelles e i 27 - non ha mancato dal canto suo di gettare benzina sul fuoco delle polemiche, intimando ai francesi di «intervenire» e definendo l'accaduto «completamente evitabile»: quasi a lasciare intendere una provocazione deliberata anti-brexiteer dei cugini d'Oltremanica.
Suggestioni a cui Pierre-Henri Dumont, deputato eletto nel collegio in cui si trova il porto di Calais, ha risposto a muso altrettanto duro evocando una situazione «scaturita dalle necessità di fare più controlli» imposte inevitabilmente dall'addio all'Ue; nonché dal fatto che lo scalo di Dover, a suo dire, sarebbe ormai «troppo piccolo».
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