Il Colle a Giuseppi: meno Facebook

La gaffe sull'abbraccio. Nel Pd si pensa al dopo: meglio Draghi

Il Colle a Giuseppi: meno Facebook

È facile immaginarli, il premier Conte e il fido Casalino, mentre (eccitati dalla lettura dei sondaggi) studiano la mossa comunicativa del giorno.

Un bel tweet di San Giuseppi, con annessa foto dell'azzimato Conte con il suo babbo, e un messaggio che gronda «abbracci» e buoni sentimenti, auguri a «tutti i papà d'Italia» e «presto torneremo a stringerci più forte di prima». Peccato sia la mossa sbagliata: nel momento più tragico per il Paese, e mentre il governo vieta gli abbracci, il tweet irrita molti, sui social e tra gli opinionisti: «È ora di uscire dal Grande fratello», stigmatizza subito il sito di Huffington Post, rovinando la festa. E mentre il premier si trastulla con Twitter e Casalino è a caccia di like, è il capo dello Stato a chiamare maggioranza e opposizione invitandoli a collaborare e richiamandoli alla responsabilità delle scelte politiche da fare.

Se non è un commissariamento, suona quanto meno come una indiretta tirata d'orecchie. E non è neppure la prima, da quando il ciclone coronavirus si è abbattuto sul Paese. Molti hanno notato che la risposta immediata e ferma allo scivolone della presidente Bce Christine Lagarde sullo spread è partita non dal governo ma dal Colle. E nel Pd si racconta che anche dal Quirinale sia venuto il suggerimento di evitare l'eccessivo protagonismo tv di Palazzo Chigi, e anche l'uso di canali poco consoni al ruolo e alla gravità del messaggio come la pagina Facebook di Conte.

Così come c'è chi sottolinea come sia la «diplomazia aggiuntiva» del Colle ad alimentare quell'asse con la Francia che sta provando ad incrinare le resistenze dei vari nazionalismi nord europei spingendo l'Unione europea verso risposte più solidali alla crisi. Un rapporto, quello tra Macron e il presidente italiano, che come ricordava ieri il Foglio, si è rafforzato proprio nei giorni in cui Mattarella ha evitato l'incidente causato dal primo governo Conte con il corteggiamento agli eversivi Gilet gialli. Nella burrascosa notte della firma sul dl Cura Italia, il 17 marzo, sono state le pressioni del ministro della Difesa Guerini, in sintonia con il Quirinale, a mettere qualche argine all'apertura di Conte (spinto da Di Maio e Casaleggio) alla Cina sul 5G, che stava causando gravi allarmi sulla sicurezza nazionale e reazioni irritate dagli Usa e dalla Ue. Così come è stato solo per la ferma insistenza del capodelegazione dem Franceschini che un incerto premier è stato spinto a prendere le prime decisioni di emergenza, come la chiusura delle scuole.

Insomma, se la crisi sembra rafforzare la popolarità di Conte, secondo i sondaggi strombazzati da alcuni media, non è lo stesso per la sua credibilità nel mondo politico-istituzionale, non solo in Italia. Ai piani alti del Pd sono molti a mordere il freno, mentre cresce la preoccupazione per il futuro prossimo.

«Anche se riuscissimo a uscire dall'emergenza senza tensioni sociali troppo violente - ragiona un esponente dem - è impensabile che sia Conte a gestire la fase della ricostruzione». E il nome di Draghi aleggia ormai in ogni colloquio sul prossimo futuro.

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