Khamenei "bacia le mani", gli ayatollah come la mafia

"Baciamo la fronte e le mani degli intelligenti e abili disegnatori di questa operazione e della gioventù palestinese. Siamo orgogliosi di loro"

Khamenei "bacia le mani", gli ayatollah come la mafia
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«Baciamo la fronte e le mani degli intelligenti e abili disegnatori di questa operazione e della gioventù palestinese. Siamo orgogliosi di loro», dice il leader spirituale iraniano Khamenei, secondo la traduzione dei media europei. Un'espressione infelice, che trova radici in un hadith della cultura islamica come forma di rispetto e di onore. Una sorta di precetto che ricorda l'abitudinario saluto del Profeta Maometto alla figlia Fatima, la cui mano - simbolo di altre culture mediorientali - ricorda i cinque pilastri della fede. Per noi baciare le mani ha il retrogusto amaro della sottomissione mafiosa. Un rito tutt'altro che perduto, anzi. È successo spesso, anche di recente, che i boss di 'ndrangheta appena arrestati fossero omaggiati dalla venerazione di alcuni affiliati, in un gesto di estrema riconoscenza. C'è qualcosa di ancestrale, in questo rito, se la simbologia del baciamano supera i confini dell'Aspromonte per arrivare fino alle lande desolate dell'Iran. Un gesto che ci riporta nel marzo del 1979. Fu proprio un baciamano a suggellare l'inizio della fine per il Paese mediorientale. Nel giorno in cui Teheran sceglieva di diventare una Repubblica islamica, il presidente del comitato elettorale si presentò con l'urna davanti all'allora leader spirituale Khomeini e omaggiò l'ayatollah con un bacio sulla mano destra. Un fotogramma entrato nella Storia. E c'è una traduzione simile - Baciamo le mani di colui che ha reciso con un coltello il collo del nemico di Dio nel discorso che il leader sciita avrebbe pronunciato dopo la vigliacca aggressione a Salman Rushdie, l'autore dei Versetti satanici su cui pende la fatwa. Era il 12 agosto 2022, lo scrittore è sopravvissuto all'odio di un fanatico che l'ha accoltellato durante un convegno a Chautauqua, negli Stati Uniti, ma da allora ha perso un occhio e - amara nemesi - l'uso di alcune dita di una mano. Non c'è più un Ayatollah dentro Cosa nostra o nella camorra, ammesso ci sia mai stato, di rado il potere spirituale sui codici rituali che vorrebbero sacralizzare l'affiliazione si concentra su una sola figura.

Ma c'è una fascinazione maligna a delineare un'ipotetica linea rossa tra queste due culture, quella della jihad e quella mafiosa, entrambe figlie di un credo manipolato a senso unico, nell'idea che un Dio spietato possa benedire una qualche guerra santa. No. Qui c'è lo zampino, anzi la mano del Diavolo.

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