"Conti ok ma serve cautela". Bankitalia avvisa Giorgetti

Nel 2024 prevista una crescita dello 0,8% anziché dell'1%. La sostenibilità della manovra dipende dal concordato

"Conti ok ma serve cautela". Bankitalia avvisa Giorgetti
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«Nel quadro previsivo a legislazione vigente del Piano strutturale di bilancio (Psb) il Pil cresce dell'1%, dello 0,9% nel prossimo anno e dell'1,1% nel 2026. La revisione dei conti economici trimestrali pubblicata dall'Istat, comporterebbe una correzione meccanica al ribasso di due decimi di punto percentuale» per il 2024. Il capo del dipartimento Economia di Bankitalia, Sergio Nicoletti Altimari, nell'audizione di ieri sul Psb dinanzi alle commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato ha squadernato i dubbi di Via Nazionale circa la possibilità di raggiungere il target del Pil per quest'anno. Al momento una crescita dello 0,8% è la previsione più realistica salvo sorprese che nel trimestre in corso sono sempre possibili. Come ha dichiarato il ministro Giancarlo Giorgetti (che questo pomeriggio sarà audito sul documento), gli effetti attesi dalla manovra 2025 «sono in linea di principio raggiungibili», secondo Palazzo Koch, ma «una valutazione più compiuta richiede informazioni, non ancora disponibili, sulle risorse stanziate per ciascuna misura e sulle modalità di attuazione». In buona sostanza, è sufficiente un peggioramento del quadro macroeconomico a causa dei conflitti in corso per rimettere in discussione la discesa del deficit/Pil sotto il 3% nel 2026.

Non si tratta di una previsione autoavverantesi stile Cassandra, ma di un ammonimento al rigore nella gestione dei conti pubblici visto il ritorno in vigore del Patto di Stabilità. Ecco perché la Banca d'Italia da una parte approva l'operato di Giorgetti («Probabilmente per il prossimo anno saremo un po' più sotto di quanto previsto dal governo» per il debito/Pil), ma dall'altra avverte che non si possono allargare le maglie, visto che con un taglio del cuneo strutturale potrebbe venire meno «l'equilibrio tra entrate contributive e uscite per prestazioni».

Allora occorre interrogarsi su cosa stia facendo il governo per scongiurare gli scenari negativi alla luce delle dichiarazioni del ministro dell'Economia che ha ribadito la necessità di «sacrifici» da parte di alcuni settori produttivi. È ancora presto per rispondere anche se la manovra è in fase di elaborazione, ma ci sono dei punti fermi. In primo luogo, molto dipenderà dal successo del concordato preventivo biennale. Se verrà superata l'asticella dei 2,5-3 miliardi attesi (anche se non ufficialmente dichiarati), molto probabilmente anche la copertura strutturale del taglio del cuneo per i redditi fino a 35mila euro (14 miliardi) sarà cosa fatta. Dopo le migliorie apportate con il dl Omnibus che consente di sanare quanto non versato nel periodo 2018-2022, il trade off è sicuramente positivo per chi sceglie di aderire entro il 31 ottobre. Niente controlli per due anni, imposte bloccate per due anni e niente accertamenti. Non aderire significherebbe finire stritolati nei controlli dell'Agenzia delle Entrate che ha tutti gli strumenti per definire il reale reddito di una partita Iva o di una piccola impresa a partire dai corrispettivi (scontrini) per finire ai versamenti dell'imposta sul valore aggiunto dedotto dalla fatturazione elettronica.

Se, tuttavia, le risposte dei circa 4,5 milioni di contribuenti interessati non fossero soddisfacenti, allora scatterebbe sicuramente il combinato disposto sul quale a Via XX Settembre si sta ragionando.

Da una parte il taglio degli sconti fiscali che interesserebbe in primo luogo le seconde case (perché tagliare sulle spese sanitarie non è in programma), dall'altro lato un'addizionale Ires che scatterebbe sui settori (banche escluse) che hanno visto aumentare i propri profitti considerevolmente negli ultimi anni, nel rispetto dei principi costituzionali. Non è escluso che le due opzioni coesistano. Praticamente impossibile, invece, una terza via.

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