Guai a dire che il convegno di ieri sulle Foibe fosse “negazionista”. Altrimenti Tomaso Montanari, rettore dell’Università di Siena e ospite apprezzato nel salotto di Lilli Gruber, è pronto a querelare. Dunque no: non diremo che il seminario intitolato “Uso politico della memoria e revanscismo fascista: la genesi del Giorno del Ricordo” negasse il massacro titino: affermeremo però che è stato un fallimento sia in presenza (aula semivuota, si contavano una ventina di astanti) sia online (un migliaio di visualizzazioni). E diremo anche - se ci è permesso - che è stata un’inutile offesa ai familiari delle vittime dei partigiani di Tito. Una “esibizione provocatoria”, come scrive Aldo Grasso, fuori tempo e fuori luogo per quanto legittima. Il cui scopo non ci pare fosse né la verità storica sull’esodo istriano né il permettere un confronto sul tema. Ma solo un modo per rivendicare “l’egemonia culturale antifascista” incrinata dall'istituzione della Giornata del Ricordo.
Ha detto proprio così, Montanari: "Egemonia culturale antifascista", che peraltro fa il paio con quell'egemonia culturale della sinistra che il ministro Speranza intendeva "ricostruire" sfruttando "l'opportunità unica" della pandemia.
Ieri pomeriggio, dopo il politicamente corretto “buonasera a tutte e tutti” (almeno non ha usato lo schwa), il rettore ha sposato la linea del vittimismo ringraziando le forze dell’ordine schierate a difesa dell’evento. Per Montanari la presenza delle divise era "sufficiente” a giustificare il titolo del seminario sull'uso politico della memoria. Come a dire: i fascisti fanno leva sul Ricordo e rialzano la testa. Teoria che il rettore vede confermata in un aneddoto accaduto ad uno dei relatori: qualche tempo fa, nella fascistissima Verona, Eric Gobbetti avrebbe dovuto “tenere una lezione” e gli venne addirittura “proposto il contraddittorio con un giornalista”. Chiunque avrebbe applaudito all’idea, riconoscendo nella ricchezza del dibattito il sale della democrazia. Invece per Montanari sarebbe il sintomo di un sistema che vive “su Marte”, che non riconosce più la superiorità politica e culturale della sinistra antifa.
In fondo viviamo in un Paese in cui un manipolo di studenti e docenti di “quella parte”, sinceri democratici, impedì a papa Ratzinger di parlare alla Sapienza e al prof. Panebianco di tenere una lezione a Bologna. Dunque nessuna sorpresa. Ma forse è arrivato il momento di riconoscere che “l’autonomia della scuola e dell’Università” non è messa in pericolo da chi, sbagliando, continua a chiedere le dimissioni di Montanari. Ma da quei professori che usano il Giorno del Ricordo per erigersi ossessivamente a intellettuali di una sinistra "dura e pura".
Per carità, nel presentare il convegno il rettore ha ribadito il carattere accademico dell’evento. "L’Università non si schiera politicamente”, era il mantra, ma “l’antifascismo è premessa costituzionale e istituzionale non negoziabile”. E qui occorre mettersi d’accordo: di quale antifascismo parliamo? Perché se essere antifa significa fantasticare sul fatto che "il revanscismo fascista” starebbe “strumentalizzando le drammatiche vicende del confine orientale”, stiamo freschi. Se parliamo dell’antifascismo di chi vede ombre nere ovunque e muove tale accusa come una clava per delegittimare le posizioni del centrodestra, allora abbiamo un problema. Se si tratta dell’antifascismo di chi ritiene opportuno concentrarsi sui “moventi profondi e le implicazioni dell’istituzione del giorno del ricordo”, anziché sui crimini titini, allora ci sia consentito dissentire.
Oggi la “guerra della memoria” esiste infatti solo nella mente di Montanari e compagni. Qui non si tratta di equiparare shoah e foibe come se fosse una gara dell'orrore, tuttavia andrebbe riconosciuto che entrambe rappresentano il desiderio di morte, la volontà di cancellazione di una etnia, e per questo le loro vittime andrebbero celebrate allo stesso modo. Considerare a tutti i costi la Giornata del Ricordo una ricorrenza “di destra” è altrettanto deprecabile quanto farla esclusivamente propria. E soprattutto significa guardare il dito e non la luna: se il ricordo della foibe è stato per decenni appannaggio dei partiti di destra non lo si deve ad un sentimento identitario (visto che gli esuli istriani fascisti non erano), ma al colpevole silenzio dei movimenti di sinistra. O meglio al loro negazionismo: se è stata vissuta come ricorrenza “di parte”, l'errore è di chi non ha mai riconosciuto la brutale accoglienza riservata ai profughi dalmati colpevoli di abbandonare il “paradiso comunista”.
E se oggi Nicola Zingaretti, Enrico Letta, il presidente della Repubblica, il premier e quasi tutti i leader democratici s’inchinano alla foiba di Basovizza, non è “colpa” del revanscismo fascista: ma merito della testardaggine di chi ha costretto la sinistra, dall’alto della sua “egemonia culturale antifascista”, ad aprire gli occhi su un orrore che per anni si era limitata a nascondere sotto il tappeto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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