Corte distratta, in fuga 15 di Al Qaida

A Napoli, dal 2012 a oggi non si è trovato il tempo di fissare il processo di appello. E gli jihadisti sono rimpatriati

Corte distratta, in fuga 15  di Al Qaida

Hanno finanziato il terrorismo. Hanno allestito, tra Napoli e Milano, centrali di contraffazione di documenti da smerciare sul mercato clandestino delle identità fantasma. Hanno promosso collette e raccolto soldi da inviare ai fratelli del «Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento». Hanno dato ospitalità a combattenti ricercati in patria e ne hanno reclutati di nuovi da inviare nelle terre del jihad, nel Nordafrica e in Cecenia e in Afghanistan per portare avanti la Guerra Santa. Sono stati condannati in primo grado per aver costituito una «associazione con finalità di terrorismo internazionale» operante in Algeria. Ma, i tempi biblici della giustizia italiana, ha permesso loro di fuggire. Di tornare a casa dove hanno trovato un'inaspettata amnistia che, di fatto, chiude qualsiasi capitolo con la magistratura tricolore. Perché la Corte d'appello di Napoli non ha ancora fissato l'udienza del dibattimento-bis.

È la storia dei 19 reclutatori della cellula islamista che, nel 2009, venne sgominata da due inchieste condotte dalle Procura di Milano e di Napoli, poi riunificate in sede processuale.

I giudici di primo grado hanno impiegato undici mesi per scrivere le motivazioni della condanna a fronte dei tre prescritti. Nel frattempo, alla spicciolata, i terroristi hanno potuto organizzare l'esodo anche perché hanno affrontato l'iter giudiziario a piede libero. Il ping pong tra Cassazione e Riesame, dopo che già il gip aveva negato gli arresti, ha prodotto solo diverse interpretazioni di giurisprudenza sulla valutazione delle prove e sulla definizione di organizzazione terroristica. Per la Suprema Corte, gli indizi relativi al loro legame con Al Qaeda erano più che sufficienti a far scattare le manette. Per i giudici dell'impugnazione, no: bisognava valutare in senso positivo il contesto.

I 19 imputati, secondo la ricostruzione dei carabinieri del Ros, avevano addirittura impiantato attività commerciali in Lombardia e in Campania per fare business e racimolare migliaia di euro da spedire ai gruppi sunniti impegnati in un colpo di Stato in Algeria, come nel caso del leader della formazione Djamel Lounici. I giudici partenopei hanno riconosciuto che i miliziani, oltre a offrire «sostegno finanziario» e «assistenza legale» ai complici coinvolti in altre inchieste in Italia, si preoccupavano pure di «indottrinare ideologicamente» i nuovi arrivati. Compito, quest'ultimo, assolto dall'ex vice imam della moschea di corso Arnaldo Lucci, a Napoli. Nella primissima fase delle indagini, i servizi di intelligence ipotizzarono una collaborazione diretta con la camorra del centro storico, capeggiata dal boss Edoardo Contini, per la fabbricazione di patenti e carte d'identità false. Le settimane di attesa, intanto, son diventati mesi. E mesi gli anni.

Se tutto andrà bene, l'Appello malgrado le insistenze della Procura che ha premura di chiudere il fascicolo e di arrivare a sentenza potrà iniziare tra non meno di sei mesi. Sicuramente dopo l'estate, forse tra ottobre e novembre. Ma è un provvedimento che arriva in ritardo, comunque. Già dal 2013, gli algerini hanno abbandonato definitivamente l'Italia.

Hanno riallacciato i rapporti con la madrepatria, e hanno deciso di rifarsi una vita nel paese che avevano contribuito a insanguinare agli inizi del Duemila. Hanno ottenuto la cancellazione delle condanne riportate in Algeria, e si sono sistemati. Qualcuno ha addirittura aperto un ristorante.

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