Davanti l'ingresso dell'aula di Montecitorio dove si infiamma il dibattito parlamentare sul «caso Almasri» il sottosegretario alla giustizia, Andrea Delmastro, sussurra perché alla fine il gioco al rialzo tra governo e opposizione sulle mille vicende legate all'immigrazione si trasformerà in un boomerang per quest'ultima. «Tutto si deciderà con la sentenza della Corte europea - spiega - che alla fine darà ragione al governo sui centri in Albania. È quello che prevediamo e per questo ci comportiamo così. Quelli dell'opposizione sono come i pokeristi che non sanno bluffare e giocano al rialzo e alla fine perdono l'intera posta. Quando uscirà il verdetto dopo il 25 febbraio pagheranno il loro atteggiamento con gli interessi, vedremo chi ha sperperato i soldi pubblici. Del resto la maggior parte dei governi europei la pensa come noi sull'immigrazione e i giudici di quella Corte li nominano i governi».
Fai due passi e un altro sottosegretario, il forzista Francesco Paolo Sisto, fa un ragionamento simile in termini più pacati. «È molto probabile - spiega - che la Corte Ue ci darà ragione. Non dico sicuramente per scaramanzia. L'opposizione? Ora incassa quel che può. Gli basta vincere una mano del tressette non la partita». Vai dal ministro Luca Ciriani e non cambia la musica. «La discriminante sarà la sentenza della Corte Ue - ammette - e all'opposizione non resta che battere il ferro finché è caldo con la politica del giorno per giorno».
Ormai sull'immigrazione come sulla giustizia lo scontro non ammette ritirate o compromessi. E il capitolo del «centro» per gli immigrati illegali aperto dal governo italiano in Albania è un «mix» di entrambi gli argomenti. Ieri ne hanno parlato tutti, da Donzelli alla Schlein. La partita decisiva, però, non si svolge in Parlamento ma in Lussemburgo, appunto, presso la Corte di Giustizia dell'Unione Europea. Una partita che nel governo già pensano di avere in tasca. «Bisogna mettere in conto - ammette la responsabile giustizia del Pd, Debora Serracchiani - che possa finire male per noi». E proprio per scongiurare un simile epilogo l'opposizione usa tutti gli strumenti che ha a disposizione anche a Strasburgo. Ad esempio gli eurodeputati del Pd, di Avs e del M5s hanno presentato un'interrogazione sul tema a cui il commissario agli Interni, Magnus Brunner, ha risposto assicurando che la Commissione Ue «seguirà da vicino» il caso del centro in Albania «che non deve ledere i diritti e le garanzie che gli Stati membri devono concedere alle persone che si trovano in queste situazioni».
Parole che possono essere interpretate in tanti modi e che non impensieriscono il governo che questa partita decisiva l'ha studiata a fondo. Sulla vicenda del generale Almasri non è stato impeccabile, c'è stata qualche sbavatura, al punto che un ministro come Pichetto Fratin confida: «Alcuni ministri si sono fatti intortare dalla burocrazia, bastava apporre il segreto di Stato». Ma il duello alla Corte Ue, che è considerato strategico, è stato studiato nei minimi particolari. Dalla parte di Palazzo Chigi e del Viminale c'è il fatto che in sede Ue è già stato sottoscritto un patto tra i governi approvato pure dal Parlamento Ue che prevede la possibilità di esternalizzare i centri per migranti illegali dal giugno del 2026. E visto che i giudici della Corte europea sono di nomina governativa è difficile che si schierino contro chi li ha nominati. Ca va sans dire, succede alla Corte Europea quello che accade alla Corte Suprema Usa. Tant'è che chi nell'opposizione mastica di più di questi argomenti, come l'ex premier Giuseppe Conte, già ha cambiato lo spartito: non parla più della legalità del centro in Albania ma della sua funzionalità. «Se ci daranno torto - osserva - ne prenderemo atto. Ma a parte l'aspetto giuridico quel centro ci costerà molto ma non produrrà alcun effetto. È un'invenzione della Meloni solo per coltivare al sua immagine di donna risoluta».
Nel caso di un verdetto favorevole al governo è difficile, però, immaginare che non ci saranno conseguenze per l'opposizione.
Un po' come è avvenuto sulla nomina di Raffare Fitto nella commissione Ue: per mesi Pd e compagni hanno gridato ai quattro venti che sarebbe stato bocciato, che non sarebbe diventato vicepresidente esecutivo, ma poi alla fine è avvenuto il contrario. «La verità - chiosa Pichetto Fratin - è che non sanno più leggere la realtà».
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