La maglia sfacciatamente gialla di un manifestante e un cielo color azzurro madonna, il primo cielo sfacciatamente primaverile dopo i mesi del buio letargo moscovita, spiccano in piazza Pushkin tra il nerume delle divise, dei colbacchi e dei caschi dei poliziotti in tenuta antisommossa. Parte la manifestazione indetta dal leader dell'opposizione Alexei Anatolevic Navalny contro la nomenklatura corrotta.
È la prima manifestazione di massa anti Putin, dopo un altro lungo inverno dello scontento. Ottomila, diecimila persone hanno risposto all'appello di Navalny, infischiandosi dei moniti del Cremlino e dei blindati che li scortano e degli agenti armati di videocamere che li inquadrano. Da uno dei blindati, ora che la folla si allunga sulla via Tverskaya, a un tratto scendono una decina di agenti. Circondano Navalny, lo immobilizzano e lo caricano di forza su un pulmino che fende la folla, allontanandosi rapido verso la sede del Ministero dell'Interno.
«Fascisti, liberatelo», grida la folla, mentre scoppia la bagarre. Gli agenti lavorano di manganello sulle teste e le schiene dei più esagitati; si aprono i portelloni dei blindati e dei cellulari che accorrono dalle vie traverse, i manifestanti finiscono a centinaia nelle tonnare spalancate dagli agenti. Anch'essi, come Navalny, dovranno rispondere di violazione dell'articolo 20 comma 2: quello che stabilisce le procedure per organizzare manifestazioni e cortei. Pene previste: una multa, qualche settimana di lavori «socialmente utili»; l'arresto, in caso di resistenza. Notizie analoghe arrivano da tutta la Federazione. Tafferugli, scontri anche violenti, auto ribaltate, qualche vetrina in frantumi, arresti anche a San Pietroburgo e a Vladivostok. Proteste e scontri anche a Ekaterinburg, negli Urali, nella siberiana Novosibirsk, a Krasnoyarsk, a Omsk. Novantanove le città in cui erano state programmate le manifestazioni; settantadue quelle in cui le autorità le avevano vietate.
Alexei Navalny, quarant'anni, due figli, è uno dei principali leader dell'opposizione a Vladimir Putin. A partire dal 2009, il suo nome è stato spesso accostato a quello di Boris Nemcov, segretario del Partito del Progresso morto assassinato nel febbraio 2015. Più volte arrestato, Navalny ha collezionato una serie di condanne sia per il suo attivismo politico che per una serie di reati comuni (malversazioni, appropriazioni indebite) «inventati» ad arte dal potere, secondo gli attivisti di Amnesty International, nel tentativo di eliminarlo dalla scena pubblica.
Putin e il suo entorurage di pretoriani, oligarchi e miliardari assortiti sono le bestie nere di Navalny. Fra questi, oltre al grande capo, c'è naturalmente il premier Dmitry Medvedev. Proprio a quest'ultimo era intitolata la manifestazione di ieri, con lo slogan -«Dimon la pagherai»- dove Dimon è il diminutivo di Dmitri. A lui, e alle sue presunte malefatte, la Fondazione di Lotta contro la Corruzione di Navalny ha dedicato una approfondita inchiesta durata mesi e pubblicata su YouTube. Nel video si sostiene che il premier ha accumulato un impero (1,2 miliardi di dollari tra beni mobili e immobili) dentro e fuori il Paese, mediante finte associazioni benefiche affidate a famigliari o a prestanome.
Alle prossime elezioni presidenziali, Navalny conta di esserci, e di candidarsi. «Auguri», c'era scritto su un biglietto listato a lutto giunto alla sede della sua associazione il giorno dopo l'annuncio della sua candidatura.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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