«Parlateci di Bibbiano». Parlatecene, sì.
Perché, ora che la sentenza di secondo grado ha spazzato via cumuli di accuse così pesanti da essere con somma letizia rilanciati - a mò di contundenti palle di melma - dai competitor elettorali del Pd (la Lega che cercava di vincere in Emilia e di distrarre l'opinione pubblica dalle imbarazzanti frequentazioni putiniane del caso Metropol, i simpatici alleati Cinque Stelle che annunciavano la costituzione di «squadre speciali» anti-Pd, la stessa Giorgia Meloni che si recò in loco con tanto di cartello accusatorio al collo), sarebbero in molti, nel mondo politico, a dover fare profonde riflessioni e pesanti mea culpa.
E non solo tra gli avversari dei dem, che si ritrovarono bollati come «partito di Bibbiano» (ossia, in pratica, degli «orchi», salvo che gli orchi non c'erano) per il coinvolgimento di qualche loro amministratore, ma anche nello stesso Pd. Fino ai piani alti del Nazareno: eh sì, perchè fu proprio l'attuale segretaria Elly Schlein, nel giugno del 2020, che - da vicepresidente della Regione Emilia Romagna - annunciò pubblicamente che «in situazioni così drammatiche siamo abituati a parlare con i fatti», e che dunque la Regione si riteneva «parte offesa» dai presunti rei e dunque si sarebbe costituita parte civile nel processo. «Solo ora, con le richieste di rinvio a giudizio - spiegò Schlein - è possibile presentare formalmente la costituzione». Aggiungendo: «Siamo abituati a fare quello che diciamo, soprattutto quando si tratta di fatti drammatici che coinvolgono minori e famiglie. La regione si considera parte lesa e, se verranno riconosciute le responsabilità ipotizzate, ci aspettiamo condanne piene e senza sconti per nessuno».
E forse non è un caso se ieri, a denunciare quella bruttissima pagina di speculazione giustizialista a scopi politici del «caso Bibbiano», siano stati più ex Pd come Matteo Renzi e Carlo Calenda che il gruppo dirigente dem. Che - non avendo una cultura garantista e avendo spesso usato le accuse processuali contro gli avversari politici, finisce sempre per mollare con una certa brutalità al proprio destino chi, tra i suoi, incappa nella scure violenta delle inchieste. E dire che sarebbe bastato anche solo il nome da giustizieri biblici dato dagli inquirenti a quella su Bibbiano («Angeli e Demoni») a insinuare il dubbio sulla bontà delle accuse scagliate contro gli imputati.
Chiaro quindi che Schlein non possa festeggiare l'assoluzione di Bibbiano: in fondo, sulla carta, è anche una sua sconfitta, visto che si riteneva «parte offesa». Così, paradossalmente, mentre il Pd tace imbarazzato è Renzi a chiedere alla premier Meloni: «Quando intende chiedere scusa per lo sciacallaggio di quattro anni fa su Bibbiano?».
Per il Nazareno, meglio puntare i fari su un'altra inchiesta, quella che ha portato in carcere cinque poliziotti di Verona con l'accusa di abusi, torture e lesioni contro persone (soprattutto straniere, guarda caso) sottoposte alla loro custodia. L'ex capogruppo Debora Serracchiani chiama in causa il governo: «Il ministro dell'Interno Piantedosi deve intervenire per far luce sui fatti di una gravità inaudita accaduti a Verona», dice.
Ma nel mirino c'è soprattutto la volontà, annunciata dall'esecutivo, di modificare il reato di tortura: «Come si fa a pensare di abrogarlo quando accade tutto questo?», chiede - comprensibilmente - la parlamentare europea Alessandra Moretti.
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