In un Palazzo Madama deserto Maurizio Migliavacca, da sempre consigliere di Pierluigi Bersani, offre le sue «istruzioni per l'uso» per districarsi nel complicato rebus del dopo elezioni. «Stiamo ai numeri», esordisce: «Se il centrodestra avrà trecento deputati avrà buone chance per scovarne un'altra ventina in Parlamento e assicurarsi la maggioranza; se ne avrà 280, la vedo difficile, e non credo che neppure a Berlusconi e a Salvini convenga gettarsi in una simile impresa con quei numeri. Per cui avanzerà l'ipotesi del governo del Presidente, noi di Liberi e Uguali ci staremmo, per fare una nuova legge elettorale. Ma non potrà essere un governo guidato da Gentiloni, queste sono fumisterie dei giornali».
Nella sala lettura di Montecitorio, frequentato ogni tanto da un visitatore in vena di confidenze, dice la sua anche Roberto Maroni, alla vigilia della sua ultima settimana da Governatore della Lombardia. L'analisi della «faccia buona» del leghismo diverge con quella di Migliavacca solo su un punto: per Maroni un Gentiloni bis è ancora probabile. «Un governo presieduto da lui - spiega - ma con ministri diversi. In fondo lui appare abbastanza distante dalle coalizioni...». Ma a parte il nome, è interessante il «meccanismo», secondo Maroni, che potrebbe assicurare un governo al Paese, se fosse necessario trovare una maggioranza in Parlamento. «Francamente - spiega - mentre vedo gente che dalla Lega potrebbe accettare l'idea di un governo di larga coalizione, non vedo, se mancassero trenta seggi al governo di centrodestra, la possibilità che si metta in moto un processo inverso, cioè un numero congruo di parlamentari che dagli altri poli potrebbero venire da noi». Lui, comunque, si tira fuori. «Dopo 28 anni ho già dato».
Congetture sul futuro «incerto» di questo Paese, che magari sorprendono, ma comunque meno di quella frase dal «sen fuggita» al presidente della commissione Ue, Jean Claude Juncker, forse un po' alticcio, che ha preconizzato per l'Italia «un governo non operativo», mettendo in agitazione i mercati (provocando una perdita di 6,5 miliardi di euro). In realtà i ragionamenti di Migliavacca e Maroni, dimostrano che una soluzione si troverà: in fondo il ritorno ad un legge elettorale proporzionale, si porta dietro anche il ritorno agli schemi estremamente elastici della Prima Repubblica. Basta applicarli, per avere una bussola per capire ciò che potrebbe succedere dopo il 4 marzo.
Agli estremi ci sono le due ipotesi contrarie: quella più contorta e quella più semplice. Come profeta della prima, al latere di un impegno internazionale del Presidente Mattarella, si è proposto giorni fa Angelino Alfano: «Voglio vedere come farà Berlusconi - è la questione posta dall'attuale ministro degli Esteri - dopo aver fatto la campagna elettorale contro Renzi, ad allearsi con lui?!». Inutile aggiungere che è una disquisizione pro domo sua che prevede la continuità: nella difficoltà ad individuare un nuovo quadro politico, Alfano, vede una chance per restare ancora qualche mese alla Farnesina. La soluzione più semplice, invece, sarebbe quella di una vittoria di uno dei tre poli. Renato Brunetta è il sacerdote di questa ipotesi, è convinto che nelle urne ci sarà la palingenesi della maggioranza di centrodestra: «La coalizione avrà alla fine 170 senatori e 340 deputati. Sono pronto a scommettere!».
In mezzo alle due ipotesi più lontane ci sono speranze, paure, frustrazioni e calcoli di tanti. In una situazione sempre più convulsa e, per alcuni versi, drammatica del Paese. Ne ha percezione il segretario del Pd, Matteo Renzi, in una campagna elettorale in cui si ritrova ad essere bersaglio di molti. «Combatto come un leone - confida ad un amico in un momento di scoramento - e ho un affetto dei miei pazzesco. In tv me la cavo ancora. Ma sinceramente ho capito tutto dalle rivelazioni dell'ultima inchiesta Consip (le minacce del Pm Woodcock a Filippo Vannoni). Ed è una cosa che non si può credere. Mi mancava l'ultimo passaggio. Roba da far paura davvero». Già, il segretario del Pd ha quasi la sensazione che contro di lui da mesi si sia scatenata una sorta di caccia all'uomo. Una condizione che lo porta al distacco, al sarcasmo, all'ironia: «Se davvero al centrodestra mancano una trentina di deputati per aver la maggioranza, potrebbe farcela. Forse sarebbe anche meglio così, vedremmo cosa saranno capaci di combinare».
Appunto, più una provocazione che una previsione, che introduce un altro tema: in un sistema tripolare, se si vince per pochi punti, il giorno dopo si rischia il paradosso di avere una maggioranza risicata in Parlamento e di essere in minoranza nel Paese. Ora sicuramente non è più valida la massima di 40 anni fa di Berlinguer («l'Italia non si governa con il 51%») all'epoca del blocco sovietico, ma sicuramente non è neppure una fase tranquilla quella in cui il presidente della Commissione Ue si azzarda a dire che l'Italia avrà un «governo non operativo» e il segretario del Pd arriva a dire che «ha paura» di certa magistratura. Per non parlare del leader del partito che sarà il perno di ogni possibile maggioranza nel prossimo Parlamento, Berlusconi, che, per una legge folle, si trova nella condizione di non essere candidabile.
In questo quadro, se dalle urne non uscirà un responso chiaro, il Quirinale dovrà sbrogliare una matassa complicata. Seguirà, visto che siamo tornati in un sistema proporzionale, i rituali della prima Repubblica. L'idea che darà l'incarico al leader del partito che avrà più voti è una mezza menata: probabilmente chiamerà al Quirinale la personalità che dopo le consultazioni delle diverse forze politiche, avrà le maggiori possibilità di formare un governo. Per cui se le elezioni dimostreranno che il baricentro del Paese si è spostato verso l'area moderata, è probabile che affidi l'incarico ad un nome di quell'area. «Ecco perché - osserva Gianfranco Rotondi, democristiano di Forza Italia che conosce a menadito i riti del tempo che fu - questa storia di Gentiloni non esiste. Poi, con l'endorsment che ha ricevuto da Napolitano, quel nome non esiste proprio. Sarà un nome calibrato sulle proporzioni della vittoria, se ci sarà, del centrodestra. Un nome che potrà essere subito ricollegato al Cav, per dimostrare che lui è il garante. Insomma, un identikit calzato a pennello da Gianni Letta. A meno che dalle urne non esca fuori qualche sorpresa.
Ho mandato una e-mail a Berlusconi per ricordargli che noi abbiamo due competitor, uno esterno e uno interno: i grillini che ci contendono al Sud i seggi necessari per avere una vera maggioranza in Parlamento; e Salvini, visto che se la Lega avesse più voti di Forza Italia le cose si potrebbero complicare ulteriormente». Già, a meno che....
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