Dagli accordi di Budapest a quelli di Minsk: Mosca e tutti i trattati diventati carta straccia

Il riferimento al pericolo di un "genocidio" e il precedente del Kosovo

Dagli accordi di Budapest a quelli di Minsk: Mosca e tutti i trattati diventati carta straccia

Diceva Angela Merkel che Vladimir Putin usa nel ventunesimo secolo i metodi del diciannovesimo. I metodi e i principi. Tra cui uno molto pragmatico: le ragioni del più forte prevalgono su quelle del diritto internazionale.

La questione ucraina è un buon esempio di trattati e di norme validi fino a quando lo decide, in modo del tutto unilaterale, Mosca. A cominciare dal Memorandum di Budapest del 1994. L'intesa siglata a suo tempo nella capitale ungherese regolava un tema delicato: il controllo delle armi nucleari dell'ex Unione Sovietica stazionate in territorio ucraino. Con il trattato l'Ucraina, insieme a Bielorussia e Kazakistan, aderiva al trattato per la non proliferazione dell'armamento atomico e restituiva al controllo fisico della Russia (che ne aveva sempre avuto il controllo operativo) i missili nucleari. In cambio quest'ultima si impegnava a rispettare integrità territoriale e indipendenza di Kiev.

A trasmettere il testo all'Onu fu lo stesso ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov che allora era rappresentante del suo Paese alle Nazioni Unite. Alla fine del 2014, dopo l'invasione del Donbass, a Putin fu chiesto durante una conferenza stampa perchè aveva deciso di non rispettare il vecchio accordo. La risposta fu che le proteste di Piazza Maidan a Kiev erano state l'equivalente di una rivoluzione, con la relativa rottura nella continuità statale ucraina e che con il nuovo Stato Mosca non aveva firmato alcun'intesa.

Ora, con il riconoscimento delle due regioni secessioniste dall'Ucraina, Mosca butta a mare gli accordi di Minsk (i cosiddetti accordi di Minsk Due) firmati dopo la guerra, nel febbraio del 2015, con il patrocinio dell'Onu e la partecipazione dell'Osce. L'intesa prevedeva il ritorno di Donetsk e Luhansk alla sovranità dell'Ucraina con il coinvolgimento di Mosca e la concessione di una sostanziale autonomia.

Almeno in questo caso le inadempienze possono essere attribuite ad entrambe le parti e nascono in via di principio dal fatto che l'Ucraina vuole il ritorno alle vecchie frontiere e poi autonomia ed elezioni; e che al contrario Mosca vuole prima controllare le elezioni e poi permettere il ritorno degli ucraini.

Con la mossa dell'altro giorno Mosca infrange comunque una lunga sfilza di articoli della Carta delle Nazioni Unite che la Russia ha sottoscritto come Paese fondatore. Il più importante è l'articolo due che tutela l'integrità degli altri Stati e vieta di ricorrere alla forza o alla minaccia, considerata implicita nella volontà di riconoscere due regioni secessioniste e nella volontà di stazionare truppe sul loro territorio.

I media e le autorità russe parlano a questo proposito del pericolo di un genocidio della popolazione russofona in Donbass che giustificherebbe il diritto all'intervento umanitario delle truppe di Mosca.

Il precedente, citatissimo, è quello del Kosovo, e con questo si spiega anche l'evacuazione, praticamente forzata, di donne e bambini della zona del Donbass decisa dai russi nei giorni precedenti il riconoscimento delle repubbliche secessioniste.

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