E se alla fine a fare paura ai magistrati italiani (o, più precisamente, alle loro correnti organizzate) fosse soprattutto la paura di tornare a fare solo e soltanto i magistrati?
Il dubbio, andando a frugare nel fuoco di fila di polemiche con cui dall'interno dell'Associazione nazionale magistrati viene bersagliata in questi giorni la riforma portata avanti dal ministro Marta Cartabia, nasce spontaneo. A guidare la protesta, ventilando lo sciopero generale come arma finale, sono i due gruppi più radicali dell'Anm, Area (ovvero la sinistra) e Autonomia e Indipendenza, il gruppo di ispirazione travagliesca fondato da Piercamillo Davigo. Ma anche nei settori più moderati, Unicost e Magistratura Indipendente, la fronda contro la riforma Cartabia è esplicita. Nel mirino due norme in particolare, la cosiddetta «gerarchizzazione» delle Procure e il fascicolo di valutazione del magistrato (che il deputato di Azione! Enrico Costa ha efficacemente ribattezzato «fascicolo delle performance»).
Dentro il testo che si avvia (forse) a essere approvato c'è in realtà anche dell'altro: che toglie potere non tanto ai singoli magistrati quanto alle cordate finora hanno spadroneggiato nel Csm, perché prevede che le nomine delle cariche vengano fatte una per una e in rigoroso ordine cronologico, per eliminare la prassi delle nomine «a pacchetto», fatte tutte in una volta con rigorosa spartizione tra le correnti. Non basterà a fare del merito l'unico criterio, ma renderà più difficili gli accordi sottobanco. È questo a fare paura?
Ma lo scontro forse più significativo è sul fascicolo di valutazione del magistrato. Per il ministro servirà non a evidenziare la statistica dei processi vinti e persi, ma solo «significative anomalie». Ripetuti arresti ingiustificati, condanne sistematicamente annullate, insomma. Secondo la sinistra di Area la conseguenza sarà la «burocratizzazione della giustizia», «la giurisprudenza dei gradi inferiori si attesterà su quella dei gradi superiori». In questo modo, dice Area, i giudici non potranno più essere un motore di trasformazione delle norme, dovranno limitarsi per paura di sanzioni a applicarle senza andare oltre di esse con interpretazioni avanzate.
Area fa due esempi, l'utilizzo delle droghe leggere e il suicidio assistito, in cui i magistrati hanno portato a modificare la legge: dando per scontato e meritevole che tra i compiti dei magistrati non ci sia solo applicare le norme ma anche essere motore di trasformazione come meritoriamente accaduto per il riconoscimento del danno biologico (salvo abiurare a questa missione per timore di ripercussioni sulla carriera).
Che una certa riluttanza a stare chiusi nel ruolo sia tra i veri motivi di dissenso lo dicono altre due battaglie condotte in queste ore dalle correnti delle toghe. Una è quella (vincente, a quanto pare) sulla possibilità di accumulare indennità per i doppi incarichi: una battaglia la cui portata si capisce solo sapendo che anche tali ben retribuiti incarichi vengono finora gestiti dalle correnti secondo spartizione precise, generando un sistema di potere e di riconoscenza. L'altra è quella (per ora perdente) contro la norma che consentirebbe nell'arco della carriera lavorativa un solo passaggio dal ruolo di accusatore a quello di giudice, o viceversa. È una norma che per le toghe prefigura la separazione definitiva delle due carriere, che minerebbe la cosiddetta «cultura della giurisdizione».
In realtà, come ricordava due giorni fa Gian Domenico Caiazza in una intervista al Riformista, da quando la riforma Castelli ha sancito l'obbligo di cambiare distretto, i casi di passaggio di funzioni si sono ridotti al lumicino: il 2 per cento.Davanti all'incubo del trasloco, la cultura della giurisdizione può aspettare. Ma alla battaglia di principio l'Anm non rinuncia.
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