Processo alla parola. Le parole di Erri De Luca, scrittore di successo ma anche intellettuale vicino al movimento No Tav. Proprio la contestatissima Alta velocità è la causa dei guai e la scintilla del dibattimento arrivato alla requisitoria. In aula il pm chiede 8 mesi di carcere dopo aver pesato sulla sua bilancia due interviste concesse da De Luca negli anni scorsi. Per l'accusa quelle dichiarazioni non possono sfuggire alla lente d'ingrandimento del codice penale e hanno un nome e un cognome: istigazione a delinquere. O, tradotto in italiano, invito al sabotaggio. Un punto di vista perfettamente legittimo, ci mancherebbe, e che però non può non suscitare disagio come accade tutte le volte che alla sbarra finiscono le opinioni. Anche quelle più estreme, più dure, più urticanti. Si può comprimere e fino a che punto il pensiero di una persona? E si possono misurare col metro della giurisprudenza i pensieri di un uomo? Domande cui non è facile dare una risposta chiara e netta. Il pm Antonio Rinaudo non ha dubbi: «In termini giuridici sabotaggio e taglio delle reti sono danneggiamenti» e dunque De Luca si sarebbe spinto oltre il confine del lecito, inoltrandosi in un territorio vietato. «La libertà di espressione - insiste Rinaudo - ha dei limiti, basti pensare all'offesa, al razzismo e all'istigazione alla violenza. Questo processo ruota intorno al sabotaggio e il sabotaggio implica l'uso della violenza. Il codice penale non lascia dubbi».
Le certezze però vacillano. È una questione vecchia come l'uomo: ogni civiltà fissa in un punto diverso la frontiera della libertà di espressione. «Questo - sostiene l'avvocato Gianluca Vitale, difensore di De Luca - è un processo alle parole, un processo di interpretazione delle parole, il diritto alla libertà di manifestazione del pensiero resta uguale parlando di coltivazione di patate o di Tav». Insomma, è sempre molto difficile trovare un punto di bilanciamento fra il diritto di critica, anche la più radicale e dalle conseguenze potenzialmente devastanti, e l'esigenza di una democrazia a tutelare le proprie fondamenta. Lui, De Luca, cerca di sfuggire alla trappola facile facile, all'idea di diventare una bandiera in mano agli estremisti e però sferra una stoccata in direzione del pm: «Non sono un martire, non sono una vittima, sono un testimone della volontà di censura della parola». E ancora: «Considero quest'aula un avamposto e la sentenza stabilirà il grado di libertà di espressione del nostro Paese». Dunque, De Luca strappa il poster con la sua immagine e semmai si attesta sulla prima linea di una battaglia che va ben oltre il suo caso specifico e i contenuti dell'aggressività No Tav.
Una vicenda ancora più scivolosa perché il pm sottolinea il carisma del romanziere: «Quando De Luca parla le sue parole hanno un peso importante, le parole vanno rapportate anche alla qualità di chi le pronuncia. De Luca ha notorietà, un passato di fama, è conosciuto nel movimento che frequenta dal 2005, ha partecipato a numerose manifestazioni».
E allora il processo alle parole tocca un altro tasto controverso: la legge è uguale per tutti ma non tutti sono uguali davanti alla legge. Per queste ragioni De Luca rischia una condanna che lascia perplessi. Non condividiamo neppure una sillaba delle sue farneticazioni contro il treno veloce, ma dovrebbero essere le idee a sconfiggere le idee. E le parole, altre parole, a mettere all'angolo i vocaboli di chi si oppone al progresso e demonizza la modernizzazione. Invece l'asticella la fissa il tribunale che il 19 ottobre potrebbe emettere la sentenza. E condannare De Luca. Rinaudo frena solo su un punto: all'imputato potrebbero essere concesse le attenuanti generiche. «De Luca - spiega il pm - ha risposto alle domande e non si è mai sottratto».
Avrebbe oltrepassato il limite, ma senza nascondere la faccia. Un comportamento limpido, ma che non garantisce l'assoluzione, per la procura di Torino, in un regime democratico. Ora la parola passa al tribunale di Torino.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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