De Raho e Bonafede, Pd e M5s. Quattro attori protagonisti le cui trame - nella storia della centrale di dossieraggio interna alla Dna - sono indissolubilmente intrecciate. Già, perché come scritto ieri dal Giornale, l'espansione della Dna inizia con la direzione di Franco Roberti, oggi europarlamentare del Pd, ma arriva all'apice proprio con Federico Cafiero de Raho, ora deputato con i 5 Stelle, e a seguito dell'allargamento dei poteri deciso dall'allora ministro della Giustizia grillino Alfonso Bonafede.
Cafiero De Raho è il plastico esempio della liaison tra dem e penstallati. E lo dimostra anche il suo pedigree familiare e professionale. «Salvate il soldato Cafiero». Era il 2021 e l'allora ministro dell'Interno piddino Marco Minniti scriveva queste parole all'ex presidente dell'Anm, Luca Palamara, per sponsorizzare la candidatura di De Raho all'indomani della nomina del collega Melillo alla procura di Napoli. Rimaneva il posto di procuratore nazionale antimafia. Posto che De Raho avrebbe ottenuto poco tempo dopo.
Ma sulla vicenda il Csm archiviò tutto non ravvisando anomalie.
Nel 2000 De Raho si sposa con Paola Piccirillo, anche lei magistrato e il cui fratello Raffaele, quando il ministro della Giustizia era il dem Andrea Orlando, dal 2014 al 2018 è stato direttore generale della Giustizia penale e capo del Dipartimento per gli affari di giustizia (Dag). A maggio 2020 l'allora Guardasigilli grillino Alfonso Bonafede nomina il cognato di De Raho suo capo di Gabinetto. In perfetta continuità.
Il 26 maggio scorso De Raho è stato nominato vice presidente della Commissione antimafia ed ha subito tuonato contro la maggioranza di governo, colpevole a suo dire di esercitare «ogni giorno un potere assoluto».
E per tale motivo si è anche auto proclamato «guardiano» dell'esecutivo. Insomma, non ha perso tempo a mettere subito le cose in chiaro. Di tempo invece ne avrebbe perso parecchio, 10 mesi per l'esattezza, quando era procuratore nazionale antimafia per dar seguito alla richiesta della Procura generale della Corte di Cassazione che il 14 settembre 2020 chiedeva una relazione sull'inchiesta Aemilia sui presunti legami con le cosche calabresi di Cutro e il Pd in Emilia Romagna e sull'operato del pm Marco Mescolini (quest'ultimo verrà poi cacciato dal Csm dalla Regione con l'accusa di aver «aiutato» il Pd).
Relazione - esplosiva - firmata poi dall'ex procuratore antimafia Roberto Pennisi e insabbiata per anni e giunta solo pochi mesi fa sul tavolo del Guardasigilli, che ha avviato un'indagine ispettiva coperta da segreto. Nel testo, vergato da Pennisi, si fanno i nomi di alcuni esponenti dem (tra cui Graziano Delrio) che avrebbero dovuto essere indagati ma che vennero in qualche modo «salvati». Le uniche persone a essere indagate nell'inchiesta Aemilia sono stati due politici di centrodestra, Pagliani e Bernini, poi prosciolti da ogni accusa. E proprio Bernini oggi tuona: «Il grave e colpevole ritardo non solo servì ad alleggerire la già grave posizione di Mescolini ma soprattutto impedì di far luce sulle gravissime collusioni politici nazionali e locali del Pd con il clan Ndranghetista del boss Nicolino Grande Aracri: ecco perché "qualcuno" si rifiuta di ascoltare dal 41bis il boss che in Emilia Romagna imperava da oltre 20 anni».
E pensare che nel 2016, il M5s attaccava duramente il Pd proprio sulla maxi inchiesta Aemilia accusandolo di collusioni con le cosche. Ma le urla e i vaffa durarono poco.
Qualche anno dopo, infatti, alle politiche del 25 settembre 2022, il procuratore De Raho (nato a Napoli) viene candidato alla Camera dei Deputati proprio dal M5S come capolista nel collegio plurinominale Emilia Romagna 3, dove risulterà eletto, e in quello della Calabria. Coincidenze?
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