Due anni fa fu acclamato come il segretario della pacificazione dopo l'era renziana: Nicola Zingaretti getta la spugna. Il leader del Pd si dimette da segretario nello stesso giorno (politiche del 4 marzo 2019) che segnò il punto più basso per i democratici. La pacificazione negli ultimi 24 mesi è stata un'illusione. L'incantesimo è finito presto. Il giocattolo si è rotto ieri, dopo settimane di veleni. Nei primi sei mesi da segretario Zingaretti ha avuto come principale nemico interno Matteo Renzi: un leader ferito dalle sconfitte elettorali che covava il desiderio di vendetta politica. Con la nascita del Conte due, Renzi ha fatto le valigie e ha salutato il Pd, facendosi il suo partito, Italia Viva. Ma gli attacchi non sono finiti. Con Renzi è andato via anche Carlo Calenda per fondare Azione. Il bersaglio è stato sempre Zingaretti. Nel Pd sono rimasti i renziani. Che non hanno mai accettato la leadership del nuovo segretario, troppo amico di D'Alema e Bersani.
Zingaretti ha dovuto convivere con i renziani, che si sono riuniti in una corrente: Base riformista. Tra i renziani, mai pentiti, c'è il capogruppo al Senato Andrea Marcucci. Pubblicamente fedele al nuovo leader. Ma sospettato di sabotare la linea del partito. I sospetti sono diventate accuse due settimane fa, quando a Palazzo Madama è stato costituito un intergruppo Pd-M5S-Leu all'oscuro di Zingaretti.
Al secondo posto della classifica dei detrattori di Zingaretti c'è sicuramente Stefano Bonaccini, il governatore dell'Emilia Romagna che punta a prendere il posto del segretario dimissionario. Proprio quel Bonaccini che un anno fa salvò la poltrona a Zingaretti, con la vittoria alle Regionali in Emilia Romagna contro la leghista Lucia Borgonzoni. Il governatore dell'Emilia in queste settimane ha offerto la sponda a Salvini su vaccini e riaperture, indebolendo la linea ufficiale di Zingaretti. E poi Bonaccini è la testa di ariete degli ex renziani di Base riformista che vogliono un congresso per riprendersi la guida del partito.
Zingaretti ha provato a resistere; nella direzione del partito convocata tre giorni fa ha allontanato il congresso al 2023. Passo falso: si è aperto immediatamente il fuoco di Base riformista. Con i sindaci non è mai stato amore. Nella cerchia degli avversari del presidente della Regione Lazio c'è la pattuglia dei sindaci che formano una corrente autonoma. I più duri sono stati sin da subito (renziani della prima ora) Dario Nardella (Firenze) e Giorgio Gori (Bergamo). Più defilato il primo cittadino di Milano Beppe Sala. Che però non ha mai avuto un gran feeling con il segretario dimissionario.
Tra gli anti-zingarettiani della prima ora c'è Matteo Orfini, leader della corrente Giovani Turchi. Una corrente svuotata dopo il passaggio di Andrea Orlando tra i fedelissimi del segretario. Ai nemici negli ultimi tempi si è aggiunta la prodiana Sandra Zampa, silurata come sottosegretaria alla Salute nel governo Draghi.
Tra gli amici c'è Dario Franceschini, capocorrente di Area dem. Mai sincero fino in fondo. Pronto a fiutare il vento per cambiare leader. Ma il colpo di grazia è arrivato dall'uomo più vicino: Goffredo Bettini. Che ipotizzando vita breve per Zingaretti ha fondato una sua corrente.
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