Il disastro di Letta agita i moderati dem che ora guardano al congresso

Bocche cucite per via delle liste. Ma l'aria è quella da resa dei conti. Ironia da Iv e Fdi

Il disastro di Letta agita i moderati dem che ora guardano al congresso

Il Pd è una pentola a pressione pronta ad esplodere: in molti, specie tra parlamentari moderati e riformisti, pensano che Enrico Letta abbia sbagliato strategia. La «draghizzazione», cioè la costruzione di un perimetro che tenesse conto dell'esperienza del governo di Draghi, non c'è. Letta ha preferito guardare in direzione di Sinistra italiana e di Europa Verde. Letta non ha costruito un asse con Matteo Renzi. L'intesa con Carlo Calenda, un altro segmento della «draghizzazione», non c'è più.

I centristi che dimorano nel Nazareno non possono che sentirsi in difficoltà, tanto che il sindaco di Bergamo Giorgio Gori (nel tondo) ha di recente preso le difese del leader d'Iv: «Sostenere che Renzi, da segretario, abbia tentato di affondare il Pd, offende non lui, ma la verità e la nostra storia. Una comunità politica seria, che democraticamente ha scelto (2 volte) il suo capo, ne condivide anche le sconfitte. Poi lo cambia, ma non lo diffama», ha scritto il primo cittadino due giorni fa, quando lo spostamento del baricentro a sinistra del Pd ha preso forma.

Nel frattempo, i microfoni dei parlamentari, soprattutto di quelli centristi, sono spenti. Il momento è troppo delicato: la composizione delle liste è un partita che si gioca in queste ore. Difficile rintracciare qualcuno che, magari nel sempre attivo correntone di Base Riformista, abbia voglia di esprimersi. Il pericolo è che tanti, essendo stati scelti dalla gestione precedente, possano restare a casa. Qualche movimento interno però emerge: il presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini (nel tondo), che come tanti altri che si scaldano a bordo campo ha preferito non candidarsi a questo giro, è tornato a dire la sua in televisione e non solo: «Ora il Pd trovi le ragioni con gli alleati che rimangono di indicare una proposta al Paese per fare qualcosa per l'Italia, non contro qualcuno. E dico al Pd nazionale: mi auguro non venga la tentazione di scaricare paracadutati nei territori perché adesso bisogna giocarsela in ogni collegio o con persone della società civile che abbiano una grande autotevolezza e stima da parte degli elettori oppure con coloro che nei partiti sono molto radicati nei territori». Può essere il primo atto di un progressivo aumento d'intensità che porterà al congresso: quello che Letta dovrà affrontare dopo le elezioni. Lo stesso per cui i centristi vorrebbero costruire attorno a Bonaccini un'alleanza alternativa alla segreteria di Letta, con il «partito dei sindaci» di Gori, Sala e Nardella in testa.

Dicevamo dei microfoni spenti: chi fa eccezione è Stefano Ceccanti, che è stato forse il primo a usare l'espressione «draghizzazione». «Non c'è niente di più distante dalle cose che ho imparato come metodo nell'associazionismo cattodem da questo modo di fare tutto immediatezza ed egocentrismo», dichiara il deputato al Giornale, sullo strappo consumatosi con Azione ed a i metodi di Calenda. E ancora: «Aldo Moro, nel suo ultimo discorso ai parlamentari, spiega che la politica è responsabilità prima che testimonianza identitaria. Già chiamare una proposta Terzo Polo è emblematico». Una riflessione personale, che potrebbe non essere condivisa da altri che hanno fatto il medesimo percorso. Comunque, la percezione che al Nazareno stiano per assistere al disastro lettiano è abbastanza tangibile. I centristi non lo dicono ma il silenzio parla da sé.

Un po' come parla l'atteggiamento dei competitor: Renzi viene descritto dai suoi come serafico, mentre se la ride sotto ai baffi. Anche dalle parti di Fdi sorridono per il segretario dem: «Il miglior tattico della nostra campagna elettorale. La strategia a Giorgia, la tattica sul campo a Letta», ammette con ironia Andrea Delmastro Delle Vedove.

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