Legittimo rospetto. Un po' indigesto, urticante, ma tocca mandarlo giù. Finisce male anche l'ultimo ringhio giudiziario di Antonio Esposito, il magistrato che presiedeva il collegio che, nel 2013, ha condannato in via definitiva Silvio Berlusconi nel processo Mediaset per frode fiscale. L'ex toga di Sapri aveva citato in giudizio - chiedendo un risarcimento danni per diffamazione di 150mila euro - tre dipendenti di un hotel di Ischia, rei di aver riferito all'avvocato di Berlusconi che stava preparando il ricorso per il Cav alla Cedu di aver conosciuto quel giudice in albergo, e di avergli sentito proferire insulti e contumelie contro Berlusconi e contro lo stesso proprietario dell'hotel, sindaco Fi di Lacco Ameno. Tutto falso, per Esposito, che oltre ai soldi chiedeva la pubblicazione della sentenza su due quotidiani nazionali.
E invece Silvia Albano, giudice monocratico del tribunale civile di Roma, gli ha dato torto su tutta la linea, come era già accaduto in sede penale, visto che Esposito non si era fatto mancare una querela contro i tre, conclusa con una richiesta di archiviazione del pm di Napoli accolta dal gip. Stessa storia a Roma, con la giudice che ha rigettato tutte le richieste dell'ex magistrato e lo ha condannato a pagare le spese legali.
Verdetto inevitabile perché, si legge nella sentenza, anche se le frasi avevano «indubbie potenzialità lesive dell'onore e della reputazione dell'Esposito», quest'ultimo «non ha fornito elementi idonei a provare la falsità di quanto riferito dai tre convenuti, come sarebbe stato suo onere fare». Peraltro i tre, querelati dopo una puntata di Quarta Repubblica che riportava le loro dichiarazioni, non le avevano raccontate in TV, ma riferite in una deposizione quando erano stati convocati per le indagini difensive, «in un contesto nel quale la falsità di quanto affermato sottolinea la giudice - avrebbe potuto comportare conseguenze penali». Dunque, non c'è da dubitare sulla veridicità di quelle affermazioni di Esposito. Che nei fine settimana trascorsi tra 2007 e 2010 in quell'hotel, riferendosi al proprietario avrebbe commentato, più volte: «Ah, sta con quella chiavica di Berlusconi». Inoltre, continua uno dei dipendenti, «affermava che prima o poi avrebbero arrestato sia il mio datore di lavoro che il Berlusconi». E lo faceva così spesso, prosegue l'uomo, «che all'ingresso del ristorante invece di dire buona sera, era solito affermare: ancora li devono arrestare?». E per non lasciar spazio a dubbi, a un altro dipendente, nel 2009, confida: «A Berlusconi se mi capita l'occasione gli devo fare il mazzo così».
Da quando nel 2015 è andato in pensione, Esposito ha fatto causa un po' a tutti quelli che sostenevano che il Cav non gli andasse a genio. Con esiti non proprio positivi. Ha perso la causa contro il Mattino, per l'intervista nella quale lui stesso, all'indomani della condanna, ne anticipava le motivazioni. Stessa storia per la querela contro la Santanché, che aveva parlato di «sentenza politica» e di «colpo di Stato».
E aveva perso pure in appello, a Milano, contro la signora Sandra Leonetti, che aveva raccontato al Giornale di aver sentito il giudice, a una cena, confidare che «Berlusconi mi sta proprio sulle palle», per aggiungere poi: «Se mi capita a tiro lo faccio nero». Solita musica. Esposito l'aveva querelata: «Mai dette quelle frasi». Ma i giudici l'hanno assolta «perché il fatto non sussiste».
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