Gratteri mette nel mirino pure i parlamentari che in Aula "tifano" per i domiciliari a Pittelli

Dda contro le interrogazioni sull'ex deputato. Giachetti invoca Fico e Csm

Gratteri mette nel mirino pure i parlamentari che in Aula "tifano" per i domiciliari a Pittelli

Quando si vive dentro un bunker è difficile distinguere le mille sfumature della politica da un attacco personale. È quello che sta succedendo al coraggioso procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, purtroppo non nuovo a certe entrate in tackle. Vedi l'attacco al Guardasigilli Marta Cartabia e alla sua riforma che, per dirla con delicatezza, «non scoraggia i criminali». Chi conosce il preparatissimo pm sa che ha un caratteraccio. Il suo collega Emilio Sirianni di Md in un'intercettazione legata all'inchiesta sull'ex sindaco di Riace Mimmo Lucano lo definisce «un fascista di mer... mediocre e ignorante» ma chi ci lavora da una vita sa che non è così, anzi.

Gratteri è convinto che il processo nato dalle indagini Rinascita-Scott sia cruciale per sconfiggere la 'ndrangheta. L'imputato chiave del processo è l'ex parlamentare di Forza Italia Giancarlo Pittelli, già sfiorato dieci anni fa dalle indagini Why not di Luigi de Magistris, finito ai domiciliari nonostante la gravità delle accuse (essere il riferimento delle cosche calabresi e il garante dell'aggiustamento di alcuni processi). In ogni caso Gratteri sa che una sconfitta processuale, financo un ridimensionamento dell'impianto accusatorio, sarebbe una tegola. Sia per la sua carriera (è in corsa per guidare la Direzione nazionale antimafia) sia per la sua credibilità, attesa «l'ombra di evanescenze lunatiche» - per dirla con le parole dell'ex Pg di Catanzaro Otello Lupacchini, cacciato dalla Calabria in un amen dal Csm solo per aver leso la maestà di Gratteri - che si allungherebbe ulteriormente sulle sue indagini. Perché darebbe benzina a chi sostiene che gratta gratta certe sue indagini alla 'ndrangheta non fanno un baffo. Pittelli, si sa, è un gran chiacchierone. Una sua frase sul caso David Rossi («Se si sa chi l'ha ammazzato scoppia un casino») captata da Gratteri è al setaccio dei pm che indagano sulla morte del manager Mps. Qualche giorno fa è finito incautamente intervistato sul pianerottolo di casa da Alessio Fusco, che con Klaus Davi ha curato degli speciali di Studio Aperto. Ma un conto è volerlo legittimamente imbavagliare per evitare che possa mandare pizzini o messaggi in codice, un altro è accostare maliziosamente alle 'ndrine i parlamentari che ne difendono le garanzie costituzionali e che si sono battuti per fargli addolcire la pena preventiva. Come il renziano Roberto Giachetti, mite parlamentare con la tessera di Italia Viva a destra e il cuore radicale a sinistra, che in Parlamento ha affrontato la questione della sua detenzione dopo il caso della missiva che Pittelli ha mandato alla ex collega azzurra Mara Carfagna e che Gratteri ha preso a pretesto per giustificare ancor di più la morsa detentiva. «So che nel ricorso contro i domiciliari la Dda ha allegato interrogazioni anche mie.

È una forma di intimidazione o un tentativo di gettare ombra sull'attività dei parlamentari?», si è chiesto Giachetti, che ha chiamato in causa il Csm e il presidente della Camera Roberto Fico per tutelare «la dignità e le prerogative che la Costituzione attribuisce ai parlamentari». Inimicarsi governo e Parlamento non è il modo migliore per fare la guerra alla 'ndrangheta, anzi. Quando i buoni litigano, i cattivi se la ridono.

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