I conflitti interni al Partito democratico e alla sinistra rischiano di ostacolare il percorso di Mario Draghi verso il Colle. Il caos è tale da rendere difficile qualunque previsione sulla linea per il Quirinale del partito guidato da Enrico Letta. Intanto ieri il capogruppo alla Camera Debora Serracchiani ha fatto presente al Piccolo di Trieste che chi vuole rientrare - leggasi D'Alema e Articolo Uno - deve «chiedere permesso» e «bussare con discrezione». L'ex leader Maximo e i suoi, per l'ex governatrice del Friuli-Venezia Giulia, dovrebbero domandare scusa in prossimità del Nazareno. Strada sbarrata e tanti saluti alla reunion.
Il niet della Serracchiani, in ottica Quirinale, serve un assist facile ai franchi tiratori: i dalemiani, già dalla prima chiama per eleggere il successore di Sergio Mattarella, si sentiranno in diritto di votare come vogliono. Qualche dalemiano è ancora nel Pd e D'Alema non è un sostenitore del trasloco di Draghi al Colle. Nel frattempo, Arturo Scotto, che di Articolo Uno è il coordinatore, ha rilanciato via Manifesto l'azione della sinistra post-comunista: si terrà un congresso primaverile. Sarebbe dovuta essere una rimpatriata ma si sta trasformando nell'ennesima resa dei conti tra tonalità di rosso. Come se tutto questo non bastasse, un'altra area inizia ad essere indiziata da chi cerca di anticipare le mosse dei franchi tiratori.
Quando Matteo Renzi decise di scindere il suo mondo dal Pd, un pezzo sostanzioso di renzismo rimase nei Dem. Molti ex renziani dimorano in Base riformista, che esprime la maggioranza degli eletti nelle due Camere ma che non ha più il peso politico di prima. Il rischio, per parecchi post-renziani, è quello di rimanere fuori dalle liste delle prossime elezioni politiche. Non si tratta di una piccola compagine: una fonte zingarettiana, fotografando lo stato di salute della correte all'interno del Pd, parla al Giornale.it di "rappresentanza sproporzionata, in specie alla Camera". Chi nel Pd conosce i numeri conta una trentina di parlamentari. Nel momento in cui Mario Draghi dovesse essere eletto al Colle, diventerebbe difficile trovare una quadra per un nuovo governo e per molti ex leopoldini resterebbe soltanto la via di casa. L'onorevole Andrea Romano, uno dei vertici del correntone, ridimensiona la questione. «Non esiste alcun timore di Base riformista verso il voto anticipato in quanto tale - dice al Giornale -, ma semmai la preoccupazione comune a tutto il Pd che il percorso di riforme e di realizzazione del Pnrr, tanto strategico per l'Italia, venga interrotto con grave danno per il Paese». Tradotto: sarebbe molto meglio se Draghi restasse a Palazzo Chigi. La mossa della disperazione è quella dei «giovani turchi» di Matteo Orfini che spingono per il Mattarella bis. Il capo dello Stato si è dichiarato indisponibile in ogni modo ma dal Nazareno non mollano. Romano fa qualche distinguo: «Sarebbe un errore - afferma - fare di Mattarella una candidatura di bandiera, magari contrapposta a quella del centrodestra su Berlusconi. Faremmo un torto all'istituzione della presidenza della Repubblica e uno sgarbo all'attuale presidente. Altra cosa è auspicare, come auspico - aggiunge -, che nell'odierna fase di emergenza venga mantenuto l'assetto attuale. E quindi Draghi a Palazzo Chigi e Mattarella al Quirinale». Romano chiosa spiegando che non esiste alcun veto sul nome di Draghi ma il ginepraio Dem resta sotto gli occhi di qualunque osservatore.
È in questo contesto
che Letta vorrebbe fare di Draghi il suo candidato, provando a blindare la legislatura con formule fantasiose. La confusione dei Dem, in realtà, somiglia di più a un segnale di stop per le velleità quirinalizie del premier.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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