«Meglio un colpevole fuori dalla galera che un innocente dentro». È un detto comune e l'idea corrente, spesso anche tra gli stessi magistrati, è che non si possa che convenire, al fine di evitare i tanti errori giudiziari di cui leggiamo sui giornali. E invece no. Secondo un recente sondaggio di EumetraMR (condotto per la trasmissione Quarta Repubblica di Nicola Porro), infatti, a fronte del 46% - vale a dire la (lieve) maggioranza relativa della popolazione intervistata - che dichiara effettivamente di essere d'accordo, c'è una parte assai consistente e sostanzialmente simile per dimensioni (43%), che è del parere esattamente opposto e ritiene di conseguenza che sia meglio rischiare di condannare un innocente, piuttosto che trovarsi un possibile colpevole fuori dalla prigione.
Siamo dunque un popolo di «manettari»? Non proprio. Si comprendono meglio le ragioni di questo atteggiamento analizzando le caratteristiche di chi lo esprime. Infatti, esso non dipende tanto dall'orientamento politico (è presente tra gli elettori di tutti i partiti), quanto dalle caratteristiche sociali: è assai più diffuso tra le persone con bassi titoli di studio e tra le classi di età più anziane, specie tra i residenti al Sud.
Si tratta, in altre parole, dei settori relativamente più «deboli» della società. Che, anche a causa della loro condizione di maggior fragilità, sentono la necessità di una più diffusa protezione. Oltre, naturalmente, a essere connotati da un più intenso rancore sociale.
Non a caso, da un altro sondaggio recente (Diamanti su La Repubblica del 12 luglio) emerge come la maggioranza relativa degli intervistati dichiari che, tra tutti i provvedimenti che il governo ha preso sin qui, il più apprezzato sia il decreto anti-corruzione. È un giudizio che, ancora una volta, deriva dall'ira verso chi compie il malaffare e da quella che, a torto o a ragione, viene percepita come una sopraffazione nei confronti di chi si ritiene più debole socialmente.
Insomma, viviamo in un contesto dove una
parte consistente della popolazione si sente insicura e al tempo stesso, arrabbiata. E insegue, di conseguenza, le soluzioni (e le forze politiche) che sembrano apparentemente offrire una maggior protezione. Come le manette.
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