Gli ebrei si sentono braccati. "Via kippah e altri simboli"

La Comunità di Milano dà indicazioni agli iscritti: "Ai figli chiedete di cambiare i luoghi di incontro"

Gli ebrei si sentono braccati. "Via kippah e altri simboli"
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Evitare segni di riconoscimento, coprire con un cappello la kippah, uscire sempre in compagnia ma senza assembramenti, non far salire i corrieri fino a casa. In un clima di tensione e apprensione crescenti, la Comunità ebraica di Milano scrive ai suoi iscritti raccomandando loro l'adozione di una serie dettagliata di accortezze e precauzioni. Un'iniziativa che fa pensare ai momenti bui della storia.

Ottant'anni dopo i rastrellamenti, gli ebrei italiani devono in qualche modo nascondersi, non farsi riconoscere. Lo Stato italiano oggi tutela i suoi cittadini di religione ebraica, e il governo manifesta amicizia nei confronti dello Stato ebraico, eppure il conflitto riaperto in Medio Oriente dagli attacchi cruenti di Hamas, e le piazze che inneggiano all'Intifada, inducono a grande attenzione.

Il timore è quello di gesti sconsiderati di qualche esaltato, individui interessati a conquistare attenzione o legittimazione con atti ostili. Le misure a protezione delle comunità e dei luoghi di culto sono state rafforzate, e le istituzioni ebraiche fanno la loro parte per «continuare a svolgere le proprie attività, in un ambiente sicuro e protetto», preservando «sicurezza e benessere degli iscritti». Ecco dunque le «regole da seguire nella vita quotidiana» che il presidente della Comunità Walker Meghnagi (foto) ha inviato, non senza sottolineare il dialogo «costante e produttivo con le forze dell'ordine». «Non sostare fuori dei nostri luoghi ma al loro interno» - esordisce - «cercare di essere sempre in compagnia quando si esce dai nostri luoghi, ma evitare assembramenti», «se si hanno figli adolescenti, chiedere loro di cambiare luoghi di incontro, se sono di routine», «se si prenota cibi di asporto, scendere a ritirarlo, evitando di far arrivare i corrieri fino al proprio appartamento», «evitare di andare in giro con segni identificativi (magliette con scritte in ebraico) e possibilmente coprire con un cappello la kippah». E così via.

Un particolare timore, presso le istituzioni, è che possa esservi un collegamento fra immigrazione e atti di antisemitismo o comunque ostili, rivolti ai luoghi ebraici e non solo. Ieri, nel corso di un convegno, ha parlato il direttore centrale dell'Immigrazione e della polizia di Frontiera, Claudio Galzerano: «Non dobbiamo abbassare la guardia sul profilo della sicurezza e nel declinare l'attività preventiva dobbiamo fare tesoro delle lezioni del passato - ha detto - I flussi migratori incontrollati sono forieri di grandi guai per la sicurezza. Ricordo che da noi, a seguito di quello che è successo in Algeria negli anni Novanta e poi in Tunisia, Marocco ed Egitto ci sono state diaspore di estremisti che si sono installati nelle nostre città, che poi stanno all'origine dei peggiori attentati che si sono verificati in Europa e nel mondo. Io ricordo che c'era un contatto diretto tra la centrale egiziana di Milano e quello che è successo l'11 settembre.

Ciò significa che la cooperazione internazionale di polizia e di intelligence e l'azione dei governi organica e strutturata è l'arma decisiva per poter contrastare le possibili ripercussioni negative sulla sicurezza nazionale».

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