L’accordo tra Calenda e Letta c’è. Tutti contenti? Non proprio. Se in casa Pd c’è la sensazione che ora la partita sia riaperta, tra gli altri alleati del cosiddetto ‘campo largo’ cresce il malumore e il timore di non rientrare in Parlamento.
Le condizioni sono chiare. Nei collegi uninominali non saranno candidati. I leader delle singole forze politiche che costituiranno l’alleanza non saranno candidati nei collegi uninominali così come gli ex parlamentari del M5S e di Forza Italia, usciti nell’ultima legislatura. In altri termini, sulla base di questo accordo, Luigi Di Maio, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni troveranno spazio solo nei listini proporzionali dei rispettivi partiti. Lo stesso discorso vale per la sessantina di parlamentari ex grillini che hanno aderito a Impegno Civico e per le ex forziste Maria Stella Gelmini e Mara Carfagna che sono passate con Calenda.
Allo stato attuale, tutti questi esponenti politici, per essere rieletti, devono sperare che le loro liste superino la soglia di sbarramento del 3%, così come prevede il Rosatellum. Chi, infatti, non supera tale soglia concorre alla vittoria della coalizione, ma non prende alcun seggio. Un vincolo che non spaventa la federazione Azione/+Europa, accreditata attorno al 5-7%, ma che mette in allerta gli ex grillini di Impegno Civico. Questo accordo, per loro, ha del paradossale. “In teoria, per assurdo, all’uninominale potremmo candidare una figura come Giuseppe Conte che attualmente non è in Parlamento e che, a quanto ci risulta, forse non è ancora iscritto al M5S”, dicono i dimaini nei loro conciliaboli nel Transatlantico di Montecitorio.
Enrico Letta è intervenuto per rassicurare gli alleati. Una nota proveniente dal Nazareno spiega, infatti, che il Pd offrirà nelle proprie liste un diritto di tribuna “ai leader dei diversi partiti e movimenti politici del centrosinistra che entreranno a far parte dell'alleanza elettorale". Una proposta che è stata immediatamente respinta da Bonelli e Fratoianni, convinti di poter raggiungere e superare ampiamente il 3%. I due esponenti ‘rossoverdi’, non riconoscono come vincolante l’accordo tra Letta e Calenda e hanno chiesto, per domani, un incontro al segretario del Pd “per verificare se ancora ci sono le condizioni di un’intesa elettorale che coinvolga l’alleanza tra Verdi e Sinistra”. L’offerta del Pd, invece, potrebbe essere accolta da Luigi Di Maio (che per il momento tace), ma non è così semplice. “A quel punto, però, che senso avrebbe presentare una nostra lista? Tanto valeva entrare tutti nel Pd…”, si chiedono i fedelissimi del ministro degli Esteri.
In casa Pd, intanto, ci sono malumori evidenti. Le bocche restano, perlopiù, chiuse e i “mi avvalgo di non rispondere” si alternano ai più espliciti: “Non dichiaro un c…”. Alcuni settori del Pd, infatti, ancora non perdonano Luigi Di Maio per il suo passato grillino e, soprattutto, per i Decreti Sicurezza che aveva avvallato durane il governo gialloverde.
Non si scompone, invece, il renziano Michele Anzaldi che, a ilGiornale.it, dice: “Era nei patti anche perché, in fondo, dem e dimaiani hanno sempre governato insieme. Mi pare più grave imbarcare chi era contro Draghi…”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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