Ecco la riforma per semplificare il mondo «benefico» del no profit

«Sulla riforma del Terzo settore ci giochiamo una parte di faccia», ha dichiarato il premier Matteo Renzi appena due giorni fa. La cattiva notizia è che, rispetto alla tabella di marcia, il disegno di legge che dovrebbe rimettere ordine nel variegato mondo del non profit è in ritardo: annunciato ad aprile scorso, i lavori in Commissione sono cominciati solo il 2 dicembre, la relatrice Donata Lenzi ha detto che il testo sarebbe arrivato in Aula alla Camera «ai primi di febbraio», ma ieri Renzi ha rettificato di nuovo parlando di «inizio marzo».

La buona notizia è che la nuova legge piace agli addetti ai lavori, quei 467.729 enti per i quali lavorano 681mila dipendenti, oltre ai quasi 5 milioni di volontari, e la cui attività rappresenta più del 4% del Pil. Piace il tentativo di ricatalogare la veste giuridica di queste realtà, oggi suddivise in 300 registri diversi, a seconda dell'ambito in cui operano (dalla sanità ai disabili, dall'istruzione all'assistenza ai poveri, dalla cultura allo sport a cooperazione internazionale e religione). Finora il comune denominatore di tutte queste associazioni e fondazioni è stata solo la qualifica di «Onlus», di natura esclusivamente fiscale, non una veste giuridica. L'altra grande sfida, di cui si è discusso ieri a Milano, in una sorta di «Stati generali» del Terzo settore, organizzati da Fondazione Ernst&Young, è cancellare la separazione tra profit e non profit: quel vecchio luogo comune per cui il primo è il mondo dell'efficienza che genera ricchezza, il secondo un «angolo dei buoni», un bancomat cui si ricorre per mettere la toppa quando lo Stato non ce la fa. Stato, profit e non profit - è l'idea di fondo - devono invece interagire, creare quel cosiddetto «secondo welfare» fatto di servizi che si integrano, dialogando tra loro. In concreto: se c'è un sistema sanitario nazionale possono intervenire a completarlo assicurazioni private, più vicine ai destinatari (aziendali, o territoriali, per esempio); se c'è la scuola dell'obbligo e l'asilo pubblico questo non rende meno utile i nidi aziendali. È l'approccio, la filosofia alla base che deve cambiare: investire prima che diventi necessario un intervento di tipo assistenziale vuol dire avere meno malati, meno abbandono scolastico. Un'ibridazione tra i due sistemi.

Come farlo? Semplificando le forme di questi enti - il ddl prevede un registro unico - snellendo la burocrazia e concedendo, altro elemento chiesto a gran voce da chi lavora nel Terzo settore, più agevolazioni fiscali, a partire dalla deducibilità delle donazioni.

Interrogato sul punto il sottosegretario al Lavoro Luigi Bobba assicura che nella legge di Stabilità «la deducibilità sale al 26% fino a 30mila euro, mentre prima era ferma al 19% fino a 2065 euro».

Twitter @giulianadevivo

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