Italicum, Mattarella, Regionali, immigrazione e caso Boschi. Per il governo Renzi l’anno che si sta per concludere può essere riassunto con queste parole, ma non solo.
L’approvazione dell’Italicum che il premier, durante la conferenza stampa di fine anno, ha definito un “capolavoro parlamentare" è la legge che più di tutte ha spaccato il Pd, provocando frizioni con la minoranza interna. Frizioni sopite soltanto parzialmente quando il 31 gennaio scorso Renzi riuscì a far eleggere alla quarta votazione Sergio Mattarella come Presidente della Repubblica, rompendo di fatto il patto del Nazareno. Una scelta che ha reso più difficile far passare la riforma costituzionale, votata sia alla Camera che al Senato con i soli voti della maggioranza perché le opposizioni sono uscite dall’Aula, e che ha reso necessario allargare la maggioranza ai verdiniani generando così non pochi mal di pancia dentro il Pd. La legge elettorale, la Buona Scuola e le scelte in campo economico hanno poi determinato tutta una serie di addii dal Pd di personalità critiche più o meno illustri e dal futuro politico incerto come Pippo Civati che ha fondato il movimento Pissibile e di Stefano Fassina e Alfredo D’Attorre che hanno aderito a Sinistra Italiana. Se nel lungo periodo difficilmente impensierirà il premier, di sicuro brucia ancora la sconfitta in Liguria della candidata renziana Raffaella Paita a causa della concorrenza sul fronte sinistro del civatiano Luca Pastorino.
I problemi maggiori, infatti, Renzi è sembrato averli più come segretario del Pd che come premier. A riprova di ciò basti citare i casi di Vincenzo De Luca e di Ignazio Marino. Il primo si è candidato alla presidenza della Regione Campania sebbene su di lui pendesse la mannaia delle legge Severino, mentre Marino è stata la più grande spina nel fianco di Renzi. Per cacciare l’ex sindaco di Roma, coinvolto nel caso degli scontrini-gate e sbugiardato in mondovisione dal Papa, Renzi, attraverso il commissario straordinario Matteo Orfini, ha dovuto costringere/convincere i consiglieri capitolini del Pd a rassegnare le dimissioni davanti al notaio. Una scelta inevitabile ma che si tramuterà in un boomerang alle prossime amministrative anche perché il duo prefettizio Gabrielli-Tronca che sta amministrando la Capitale e gestendo il Giubileo non sta certo brillando.
Dentro l’esecutivo le cose non sono andate meglio. A gennaio scorso Maria Carmela Lanzetta, per dissidi col premer, ha lasciato il ruolo di ministro degli Affari Regionali. Un’assenza che verrà probabilmente colmata a breve da un esponente dell’Ncd, partito che si trova con un uomo in meno nel governo dopo le dimissioni di Maurizio Lupi da ministro dei Trasporti e la successiva sostituzione con il “renzianissimo” Graziano Del Rio alla guida di quel dicastero. Sono state politicamente rilevanti anche le dimissioni del sottosegretario ai Beni Culturali Francesca Barracciu, indagata nell’inchiesta sulle “spese pazze” quando era consigliere regionale della Sardegna, mentre chi proprio non ci pensa a dimettersi è il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi. La fedelissima è stata travolta dal crack della Banca Etruria, di cui il padre è stato vicepresidente, ed è stata salvata dal governo insieme ad altre tre banche ma i suoi azionisti hanno perso tutto.
Tra i provvedimenti che il premier Renzi si è ripromesso di portare a casa nel 2016 ci sono il ddl Cirinnà sulle unioni civili, che sta creando non pochi malumori dentro l’area della maggioranza, e lo ius soli temperato con cui il governo darebbe la possibilità agli immigrati di acquisire la cittadinanza italiana in un momento in cui gli sbarchi di migranti non si fermano e cresce il pericolo di attentati
terroristici. Sul versante economico, invece, Renzi si vanta per una crescita economica dello 0,8% e di una disoccupazione calata di due punti quando i dati di quasi tutti gli altri Paesi europei registrano numeri ben superiori.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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