C'è ancora un giallo nella ricostruzione della dinamica dello schianto tra i due treni della Ferrotramviaria di martedì scorso. Perché non è ancora chiaro come sia possibile che le comunicazioni tra le due stazioni di Andria e Corato siano andate in tilt, nonostante il meccanismo che prevedeva il blocco telefonico della linea nel caso in cui il binario unico fosse occupato. Per questo i primi due indagati dal pool della procura di Trani sono i due capistazione, Vito Piccarreta di Andria e Alessio Porcelli di Corato e il procuratore facente funzioni Francesco Giannella sottolinea: «Parlare di un errore umano è corretto ma assolutamente riduttivo».
L'unica certezza è che il treno bianco che ha lasciato Andria non sarebbe dovuto partire, non prima che arrivasse quello giallo, in ritardo, che si era già mosso da qualche minuto da Corato, in direzione nord. L'altro elemento sicuro è che un altro treno era transitato nei minuti precedenti sul binario unico, sempre partendo da Corato, ed era passato da Andria pochi istanti prima che il convoglio diretto a Bari si muovesse col semaforo verde. L'ipotesi che il primo treno passato abbia convinto la stazione di Andria che il binario fosse libero cozza però col sistema datato ma efficiente del «blocco telefonico». Prima di dare il via libera alla partenza, Piccarreta avrebbe dovuto comunque chiamare Porcelli a Corato per chiedere semaforo verde. Porcelli, difeso dall'avvocato Massimo Chiusolo, non commenta. «Dovunque sia l'errore, io e mio marito non abbiamo nulla da dire», spiega la moglie al Giornale. Agli indagati l'avviso di garanzia, necessario anche per chiedere l'autopsia sui corpi dei tre ferrovieri rimasi uccisi in programma oggi, è arrivato soltanto nella serata di ieri. Il quarto, il capotreno Nicola Lorizzo, che viaggiava sul treno partito da Andria, unico sopravvissuto pure se ferito del personale di bordo, sarebbe stato ascoltato informalmente dalla Polfer in ospedale, e la sua posizione, anche sulla base di quanto riferito nelle prime dichiarazioni agli investigatori, sarebbe ancora all'attento vaglio degli inquirenti, così come quelle dei vertici di Ferrotramviaria e del Dirigente Movimento, il «controllore del traffico» in servizio martedì mattina (ma nessuno di loro per ora risulta indagato).
A chiarire la dinamica che ha portato al disastro potrebbe essere dunque solo l'incrocio dei dati ottenuti dalle scatole nere, dai video, dai registri di stazione e dai dati dei dispositivi di instradamento dei treni, mentre ieri la Polfer, delegata per le indagini dalla procura di Trani, avrebbe intanto ottenuto dall'Ustif (ufficio trasporti a impianti fissi, organo del Mit di Delrio: sono gli ispettori delle ferrovie che stanno svolgendo un'indagine interna parallela a quella dei pm) i libretti dei macchinisti deceduti e i documenti relativi alle varie abilitazioni del personale a bordo dei due treni. Se la priorità è dare una risposta al centinaio di parti lese sulle responsabilità dirette del disastro, l'inchiesta del pool di magistrati si svilupperà anche su almeno altri due filoni. Quello sulla sicurezza della ferrovia del Nord Barese, che punta a chiarire se c'erano falle strutturali nel sistema di gestione dei tratti di linea ancora a binario unico tra Bari e Barletta, è quella sui finanziamenti europei Fesr stanziati per il raddoppio e per l'ammodernamento della linea. Le toghe pugliesi vogliono insomma capire se quei soldi sono stati incassati dalla concessionaria privata del servizio di trasporto e, se sì, perché non sono stati utilizzati per lo scopo. Il direttore generale di Ferrotramviaria, Massimo Nitti, ha già detto che a frenare il raddoppio sono stati i tempi di autorizzazione della burocrazia e non certo la volontà dell'azienda.
Parlando al tg di Telenorba, Nitti si è giustificato spiegando di avere «il problema che conosciamo noi italiani: i processi autorizzativi in questa nazione sono il 60-80 per cento più lunghi di qualunque altra nazione in Europa, per non parlare poi delle gare che si appaltano e che restano ferme per qualche anno in attesa di valutazioni del Tar e del Consiglio di Stato». E ha ribadito ammonendo dal dire «che i soldi ci sono e non si spendono, almeno per quanto riguarda Ferrotramviaria». Il filone, insomma, scotta. Perché non è escluso che possa allargarsi anche al livello politico.
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