Le abitudini sono dure a morire. E, anche se smussate dalla curiosità, spesso restano uguali a se stesse: pigre e disimpegnate come un clic. Mark Zuckerberg (CEO di Facebook) potrebbe non aver considerato tutto questo, quando, lo scorso 24 febbraio, ha introdotto sul celebre social network l'opzione «reazioni» ai post dei nostri amici: giubilo, rabbia, pianto, amore e stupore. «Faccine» che sbucano sotto il «mi piace» a colpi di cursore, a seconda dello stato d'animo che ci suggerisce un post: il punto è che solo il 7% degli utenti sfrutta regolarmente questa possibilità, dopo più di due mesi di rodaggio.
In Italia, le «reazioni» su Facebook sono sbarcate il 25 febbraio, precedute da fenomeni antesignani delle nuove emoticon anche su qualche testata online: il Corriere.it, difatti, aveva abilitato un sistema di questo tipo per commentare gli articoli. E c'era stato un esperimento di Renato Brunetta, già 6 anni fa: si chiamava «Mettiamoci la faccia» e consentiva, con l'introduzione delle faccine, di chiosare in modo rapido ed espressivo le transazioni quotidiane con la pubblica amministrazione. Ma anche quella iniziativa aveva incontrato polpastrelli troppo conservatori per dilagare come sperato: solo 312, delle 1024 amministrazioni aderenti al progetto, hanno attivato l'opzione fino al 2015.
Quando, poco più di due mesi fa, le «faccine reattive» ai post su Facebook sono arrivate da noi, gli how-to su siti italiani, tra forum, blog e giornali online, sono diventati virali ma i commenti a simili articoli, già all'arrivo della nuova modalità «reazioni», era stato tutt'altro che entusiasta. Opinioni del tenore che la «mimica virtuale» stesse diventando eccessiva, alimentando così quel popolo di internauti sempre meno propensi a esprimersi in modo personale e avvezzi all'uso di «stati d'animo preconfezionati», sono stati all'ordine del giorno. Il paradosso è che, su Facebook, ai post inerenti alla questione, qualche utente ha replicato proprio applicando una «reazione», cercando di smentire la fredda accoglienza alle faccine. Raro l'endorsement di giornalisti e blogger che hanno fatto le feste alla nuova trovata di Facebook, definendola in qualche caso «un parco giochi» o addirittura argomentandone l'utilità (tra questi l'intervento del sito Internazionale.it).
Chi ha tratto più vantaggi dalle reactions? Gli inserzionisti, che, grazie al bilancio di «emoji» (questo il termine giapponese per le faccine), hanno un quadro più cristallino sui gusti degli utenti. Unimetric e Fractl, compagnie specializzate nell'analisi dei social media, hanno fatto i conti in tasca alle «reazioni» su Facebook.
«È più difficile che un post commerciale riceva una reazione diversa dal solito commenta Ranjani Raghupathi, di Unimetric mentre può essere frequente accordare queste reazioni ai post di utenti umani». Verissimo. Studiando profili di colossi come Nissan, Armani, LG Mobile e grosse aziende internazionali, il risultato è che il 93% degli utenti continua a cliccare «Mi piace», snobbando le emoji. Il 4,6 per cento appone un «Love» (il cuoricino rosso), e meno del 2% inserisce la risata o la faccina stupita. Poco o nulla.
Anche analizzando i profili di grossi siti d'informazione, il quadro propende per i semplici «Like». Profili come quello di Cnn, Fox News e grandi giornali contano in media 6.400 «Mi piace» e 1.500 clic con altre modalità.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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