Nuova puntata nella saga dei documenti sequestrati dall'Fbi nella residenza di Donald Trump in Florida. Il dipartimento di Giustizia americano sostiene di avere le prove che carte riservate sono state deliberatamente nascoste al Bureu quando ha cercato di recuperarle a giugno da Mar-a-Lago, portando poi alla perquisizione senza precedenti dell'8 agosto scorso. Gli agenti federali avrebbero ottenuto il decreto per il blitz proprio dopo aver avuto prove «che documenti governativi sono stati probabilmente nascosti e rimossi dal deposito e che sono stati probabilmente fatti sforzi per ostruire l'indagine del governo».
Secondo Politico è quanto si afferma nelle 36 pagine con cui il dicastero di Merrick Garland si oppone alla richiesta del tycoon di nominare un consulente speciale per esaminare il materiale sequestrato. «Il fatto che l'Fbi, nel giro di ore, abbia recuperato il doppio di documenti contrassegnati come classificati mentre l'avvocato e altri rappresentanti dell'ex presidente hanno avuto settimane per fare la loro ricerca, mette in seria discussione la descrizione dei fatti nella certificazione del 3 giugno (sull'avvenuta restituzione di quanto richiesto) e getta dubbi sull'estensione della cooperazione in questa vicenda», si legge nell'atto firmato da Jay Bratt, capo della sezione controspionaggio del dipartimento, che finora è il resoconto più dettagliato sulle prove di ostruzione della giustizia. Sollevando pure il timore che Trump e i suoi legali abbiano cercato di fuorviare gli investigatori sulla sincerità e accuratezza dei loro sforzi per identificare e restituire agli Archivi nazionali documenti altamente sensibili. E mentre l'ex first lady Melania Trump rimane in silenzio, pur se alcune fonti la descrivono come «seccata» per la violazione della sua privacy, sulla vicenda del blitz a Mar-a-Lago è tornato anche Joe Biden. Parlando dalla Pennsylvania, il presidente ha definito «ripugnanti» gli attacchi di certi repubblicani al Bureu. «Non c'è posto in questo Paese per chi mette in pericolo le vite delle forze dell'ordine», ha sottolineato, schierandosi contro chi chiede di de-finanziare l'Fbi e attaccando indirettamente pure The Donald: «Non puoi dire di essere contro la violenza e chiamare gli assalitori del Congresso patrioti». Per Biden e i democratici, tuttavia, una doccia fredda è arrivata dall'ultimo sondaggio di Reuters e Ipsos, secondo cui il gradimento del Comandante in Capo è sceso questa settimana al 38% (dal 40% di metà giugno), vicino ai minimi storici dal suo arrivo alla Casa Bianca.
Si tratta di un pessimo segnale per le speranze del suo partito di mantenere il controllo del Congresso alle elezioni di Medio Termine dell'8 novembre, e peraltro arriva nonostante una serie di successi dei dem nelle ultime settimane, dal piano sul clima alle misure anti-inflazione, grazie ai quali sembravano aver risalito la china nelle preferenze degli americani. Ne' i toni estremamente duri usati recentemente da Biden, ne' i guai giudiziari del tycoon, sembrano insomma aver portato effetti positivi sulla popolarità dell'attuale presidente Usa.
I sondaggi continuano a indicare i repubblicani come i favoriti per la conquista dalla maggioranza sia alla Camera che al Senato, uno scenario che trasformerebbe Biden in un'anatra zoppa per il resto del mandato con un ostruzionismo totale da parte del Grand Old Party.
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