Per essere «la moglie di» ci vuole stoffa, altroché. È mestiere raffinato, non è pour tous, richiede carattere, doti relazionali, affabilità umana, intelligenza emotiva. Come la giovinezza, non ha il dono dell'eternità, dura il tempo che dura, talvolta termina prematuramente e a quel punto si spera che l'ex moglie sia capace di reinventarsi attorno alle proprie aspirazioni e competenze, mettendo a frutto il bagaglio di esperienze e conoscenze accumulate in precedenza. Se così non è, e l'unione non ha generato prole, c'è forse da stupirsi che il sodalizio si chiuda senza un sussidio a vita? La Corte di Cassazione ha sentenziato: il matrimonio non è una assicurazione sulla propria esistenza, dovrebbe fondarsi su «libertà e autoresponsabilità», addio al criterio del tenore di vita. In altre parole, il matrimonio comporta di per sé il rischio della separazione, un rischio che va condiviso equamente tra entrambi i coniugi giacché sarebbe ingiusto farlo gravare su una parte soltanto. Nessuno può prometterci amore eterno, figurarsi il mantenimento usque ad mortem. In una intervista a Repubblica l'ex signora Grilli, vittima inconsapevole dell'innovazione giurisprudenziale, si dice «dispiaciuta per le donne che soffriranno a causa di questo verdetto». La protagonista del caso giudiziario lamenta uno stato di indigenza economica dopo una vita trascorsa nei panni della «moglie di», quindici anni di matrimonio dopo un amore sbocciato nelle aule universitarie con l'uomo che sarebbe diventato il più importante dirigente del Tesoro. Eppure in questa filippica mediatica, nell'elenco minuzioso degli «obblighi mondani» in capo a una donna che grazie ai cospicui compensi del coniuge poteva concedersi agi e lussi e vacanze stellari, qualcosa non torna. Apprendiamo che le «serate scintillanti» con nobili, ambasciatori e ministri, «in cui si tessevano relazioni, si accordavano favori, si costruivano carriere», suscitavano in lei un insopprimibile disagio, le recava invece sollievo sostare nelle cucine in compagnia delle cameriere, «donne umili che nell'ombra mandavano avanti la messinscena». Ignoriamo quali fossero i pensieri delle collaboratrici domestiche che osservavano la signora con indosso abiti griffati pronta a ricevere gli ospiti nella magione pariolina con fontane, getti e piscina con nuoto controcorrente. La stessa racconta che incombevano su di lei una serie di compiti ingombranti, le spettava comprare e vendere auto, organizzare traslochi, curare le ristrutturazioni della casa. Una vita grama, un mestiere ingrato quello della «moglie di», che pure non andrebbe svilito in un ruolo ancillare, marginale, di contorno. Chi si accompagna a un uomo di successo, con incarichi prestigiosi nella pubblica amministrazione o nel settore privato, non solo partecipa al mondo relazionale del coniuge ma ne è pure artefice e burattinaio. Non tutte somigliano, per fortuna, alla cinica Claire Underwood che in House of Cards è complice e suprema consigliera del marito, basti pensare a una figura iconica, e più mite, come Maria Angiolillo, moglie di Renato, fondatore del Tempo e senatore della Repubblica.
La matrona dei salotti romani nella splendida villa affacciata su Trinità dei monti accoglieva magnati e ministri, saldava alleanze politiche, sanciva sodalizi umani ed economici tra tartine e flûte di champagne. «Dipendevo da lui in tutto», confida a Repubblica l'ex moglie delusa. Una simile frase la signora Angiolillo non l'avrebbe mai pronunciata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.