E venne il giorno della speranza. La speranza di un cessate il fuoco in Ucraina, legato a negoziati che fino a ieri non sembravano promettere nulla di buono, impantanati com'erano in una trincea fangosa. E invece ieri, in pieno quarto round dei colloqui, il traguardo è apparso finalmente lontano ma visibile. Secondo quanto rivelato dal Financial Times, esisterebbe addirittura una bozza di accordo in 17 punti, diciassette richieste che la Russia ha fatto per mettere sul tavolo il silenzio delle armi e il ritiro dall'Ucraina.
I punti in questione naturalmente rimodellerebbero il presente e il futuro della più importante nazione ex sovietica dopo la Russia, istituendo di fatto un'area cuscinetto tra il Paese più grande del mondo e la Nato. Tra le richieste russe - di cui sono garanti Stati Uniti, Regno Unito e Turchia - la neutralità dell'Ucraina, l'impegno a non presentare per 15 anni la candidatura per entrare nell'alleanza atlantica (progetto a cui il presidente ucraino Volodymyr Zelenski del resto sembra aver rinunciato) e a non ospitare basi militari o armi straniere, una drastica sforbiciata alle sue forze armate. Insomma, la nuova Ucraina sarebbe una tigre senza artigli.
Naturalmente molte ombre si allungano sul possibile accordo, che ieri comunque ha ricevuto l'endorsement delle borse mondiali, parecchio ringalluzzite. Mosca sembra accettare che l'Ucraina così depotenziata possa essere «protetta» da alleati come gli stessi Stati Uniti, il Regno Unito, la Turchia, ma è tutto da vedere in quali termini tale guarentigia possa essere resa digeribile da Mosca. La Russia chiede che vengano riconosciute le due repubbliche separatiste di Donetsk (Dnr) e Luhanks (Lnr), a cui viene richiesto di mantenere uno status neutrale. Kyiv dovrebbe impegnarsi a riconoscere l'annessione della Crimea alla Russia entro la fine del 2022, ma potrebbe diventare a pieno titolo membro della Ue.
Kiev pretende che l'armata rossa lasci «tutto il territorio dell'Ucraina», ma ieri Vladimir Putin ha ricordato come «a subire un vero genocidio» siano stati gli abitanti del Donbass per otto anni. Lo Zar è determinato a ottenere l'indipendenza (solo formale, visto che diventerebbero dei protettorati russi) di questi territori, sottraendoli al nemico. In realtà le posizioni sembrano meno distanti da quello che i due governi sostengono: Kiev sembra avere già rinunciato alla Crimea, annessa nel 2014 alla Russia con un referendum non riconosciuto dalla comunità internazionale, ma sa bene che la penisola è popolata da una maggioranza di etnia russa e che la Russia ha a Sebastopoli la base della sua flotta del Mar Nero. Quanto al Donbass Zelensky sarebbe pronto a rinunciare al territorio, pari al 7 per cento del totale nazionale delle autoproclamate Repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk, popolate da una maggioranza russofona e riconosciute da Mosca il 21 febbraio, tre giorni prima dell'offensiva in Ucraina.
Insomma, la situazione è tutt'altro che chiara. C'è anche da fare i conti con lo scetticismo sulle reali intenzioni della controparte da parte di Kiev, che continua a sospettare che gli emissari di Putin stiano solo creando una cortina di fumo per prendere tempo in attesa di una nuova recrudescenza dell'offensiva e comunque trova irricevibili alcune delle richieste del Cremlino. «La bozza del Financial Times - precisa il negoziatore ucraino Mykhailo Podolyak - rappresenta le richieste della parte russa, niente di più. La parte ucraina ha le sue posizioni. L'unica cosa che confermiamo in questa fase è un cessate il fuoco, il ritiro delle truppe russe e garanzie di sicurezza da un certo numero di Paesi».
Poi c'è la questione della neutralità, se adottare il vincolante modello austriaco o il più astratto format svedese, con Kiev che rifiuta entrambe le strade. «L'Ucraina - mette in chiaro Podolyak - è ora in uno stato di guerra diretta con la Russia. Pertanto, il modello può essere solo ucraino», ha dichiarato Podolyak, secondo cui Kiev vuole «garanzie di sicurezza assoluta» contro la Russia, con Paesi che si impegnino a intervenire a fianco dell'Ucraina in caso di aggressione.
I negoziati continuano, nella forma trilaterale che coinvolge anche la Turchia e che sembra funzionare.
Il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrovo, ha ieri incontrato il pari grado di Ankara, Mevlut Cavusoglu, ma i due non avrebbero parlato di un incontro diretto tra Putin e Zelenski, che quest'ultimo invoca da settimane.
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