Come erano squisiti Giorgia Meloni ed Enrico Letta ieri al Meeting di Rimini, sorridenti a parlottare tra loro, con il segretario Pd a celare le labbra con la mano per non far intuire il labiale. This must be love, cantava Phil Collins. Peccato che fino a poche ore prima se ne fossero scagliate addosso, per interposti social, di ogni. Nessuno pensa e soprattutto vuole che si prendano a coltellate: negli altri paesi gli avversari politici mantengono rapporti cordiali. Ma non si demonizzano a vicenda, o se lo fanno, come Macron e Le Pen, non stanno guancia a guancia nei dibattiti. E forse Letta si pensa un po' Macron e Meloni un po' Le Pen. Peccato che, come ha scritto giorni fa la politologa Sofia Ventura, non ci troviamo al ballottaggio di un'elezione presidenziale, con due competitor e solo un vincitore. Qui gli attori sono tanti, e il presidente del Consiglio lo incarica il capo dello Stato, non il voto dei cittadini. Costruire un formato televisivo sulla sfida a due non solo quindi sarebbe poco corretto, visto che su molti punti Meloni non condivide le stesse posizioni di Salvini e di Berlusconi, ma anche perché esistono altri poli, il cosiddetto terzo di Calenda e Renzi, e i 5 stelle di Conte. I quali hanno tutte le ragioni di pretendere che la sfida televisiva li comprenda tutti, nella stessa occasione, cosi come si capisce perché Salvini voglia partecipare: Meloni non ha lo stesso ruolo di leadership dell'intero centro-destra detenuto un tempo da Berlusconi. Ma perché Letta, da cui è partita la proposta del confronto, e Meloni, si sono scelti? Continuando nella metafora amorosa, si tratta di un matrimonio di convenienza politica molto spiccia. Letta ha bisogno di focalizzare solo su Meloni il suo avversario per rappresentare lo scontro tra sinistra e destra, ma una destra, dice lui, radicale e non europea. Con ciò spera di compattare tutti gli elettori di sinistra, e magari anche qualche moderato, indecisi se scegliere il terzo polo e i 5 stelle, sul Pd, in un voto utile contro le destre (al plurale fa più impressione, ma Letta ha in mente solo Meloni). Come se fossimo appunto in un regime presidenziale. Escludiamo che egli pensi di vincere, ma il suo obiettivo è di trasformare il Pd nel primo partito. Non solo un trofeo simbolico, che comunque lo aiuterebbe a rintuzzare le correnti che già lo vogliono sostituire con Bonaccini. Se riuscisse a disporre del primo gruppo parlamentare, in una situazione in cui il taglio degli eletti rende i numeri incerti anche in caso di netta vittoria del centro destra, i giochi potranno sempre restare aperti. E poi quanto durerà il governo, di fronte a un autunno delle tregende? Ci sfugge invece tutta la convenienza di Meloni nell'accettare la finzione bipolaristica.
La legittimazione da parte di Letta? Si tratta di un'illusione, perché il Pd la demonizzerà ancor più se sarà premier. Far terra bruciata e rendere Fdi il solo partito di centro-destra? Ci vorrà tempo, e poi non è detto che Berlusconi e Salvini siano d'accordo.
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