Elly Schlein riapre la vecchia Ditta. Ritornano a casa i compagni d'antan, da anni in attesa del momento giusto per chiudere i partitini nati dalla scissione post-Renzi e ritrovarsi tutti sotto lo stesso tetto. E il momento giusto, per il ritorno alle origini, è arrivato proprio con il «nuovo» Pd targato Schlein, la candidata di «rottura con il passato», la leader del «cambio di passo» del partito, celebrata anche dai giornali internazionali per la novità (il New York Times: «È difficile incarnare il cambiamento in Italia più di Elly Schlein»). E da Repubblica come la donna che ha fatto invecchiare di colpo la Meloni, relegata a pezzo di modernariato novecentesco, di fronte cotanta freschezza. Una novità che però contiene una grande operazione di riciclo degli ex Pd (in molti casi, ex Pci) di Articolo Uno, preparata con un congresso in cui si prevedeva appunto l'adesione al Pd, con tanto di modulo da sottoscrivere per impegnarsi ad iscriversi al partito «all'avvio della Campagna Tesseramento 2023», quella che ha appena aperto la Schlein. Lei, ovviamente, era la candidata alle primarie Pd che Articolo Uno ha apertamente sostenuto. Ora che ha vinto, quindi, è tempo di sciogliersi e confluire tutti nel Pd. Il leader Roberto Speranza lo ha annunciato: «Mi iscriverò al nuovo Pd, la svolta c'è». Il resto della dirigenza del morituro Articolo Uno (che si trasformerà in una «associazione politico-culturale») lo seguirà. I parlamentari come Nico Stumpo, Arturo Scotto, Maria Cecilia Guerra, eletti alla Camera sotto l'ala del Pd. Il loro capo Speranza ha ottenuto trattamenti di riguardo per i nuovi arrivi. Per l'ex deputato bersaniano Alfredo D'Attorre si dà per scontato un posto nella segreteria nazionale. Sia lui che Scotto aspirano al ruolo di responsabile Esteri del Pd. Una richiesta non semplice da esaudire, vista la linea contraria agli aiuti militari all'Ucraina che Articolo Uno ha sempre seguito.
E Bersani? Anche lui è pronto a tornare, lo ha sempre detto («Rientro anche domani mattina a patto che si dia il profilo di una moderna sinistra di combattimento» disse tempo fa). Chi invece dovrebbe restare fuori è Massimo D'Alema, ormai impegnato in altre attività più stimolanti e remunerative. A chi lo ha interpellato ha replicato dalemianamente: «Davvero non saprei cosa rispondere perché io sono in pensione, sono in pensione da almeno 7 anni. Non so davvero come posso partecipare al dibattito. Ripeto: sono in pensione». Al massimo fornirà consigli, come presidente della fondazione Italianieruopei, che vede nel comitato di indirizzo anche Roberto Speranza, Alfredo D'Attorre e due dei big dem che hanno sostenuto la Schlein, Francesco Boccia e Nicola Zingaretti.
Insieme alla Ditta e ai vecchi Ds (oltre a Romano Prodi, consigliere della Schlein), qualche volto nuovo serve. Per la segreteria nazionale sarebbero Chiara Gribaudo (data in pole per il ruolo di vice), Chiara Braga (alla quale potrebbe andare la delega del lavoro), Alessandro Zan (diritti), Marco Furfaro (coordinatore o vice), Marco Sarracino (organizzazione). Poi si fanno i nomi di Marta Bonafoni e Andrea Pacella, la prima arriva dal consiglio regionale del Lazio in quota Zingaretti, l'altro invece dal Piemonte, vicino alla Gribaudo.
Per lo sconfitto Stefano Bonaccini invece si fa strada l'ipotesi della presidenza del Pd, considerata più consona rispetto alla vicesegreteria, di solito appannaggio di un fedele alla linea del segretario. Un po' di nomi nuovi, e tanto usato sicuro.
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