Il flop e i dissidi con l'Iran. L'escalation? Più lontana

Fallimentare raid di Hezbollah e Usa schierati: Teheran non vuole lo scontro diretto con Israele

Il flop e i dissidi con l'Iran. L'escalation? Più lontana
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Un altro umiliante fallimento che però allontana il rischio di una guerra regionale e impone ad Hezbollah e ai suoi alleati di abbassare le orecchie per evitare batoste peggiori. Per capire quanto sia andata storta l'ultima sfida ad Israele lanciata dal «Partito di Dio» basta il discorso pronunciato ieri sera dal suo leader Hassan Nasrallah.

Il discorso si apre ricordando che l'attacco è coinciso con l'Arba'in, la solenne festività celebrata ogni anno a 40 giorni dall'anniversario del martirio dell'Imam Hussein figura simbolo del culto sciita. Un attacco lanciato in una così solenne ricorrenza deve per forza andar bene. E Nasrallah fa di tutto per dimostrarlo. Spiega che il piano - destinato a vendicare il comandante militare Fouad Shukur, ucciso da Israele a fine luglio - prevedeva il lancio di 300 missili «katyusha» e un traguardo assai ambizioso. «Il principale obbiettivo era la base di Glilot, dove - spiega Nasrallah - si trova l'Unita 8200». E qui salta fuori la prima implicita ammissione di fallimento. La base, sede dell'agenzia d'intelligence israeliana incaricata di intercettare e decodificare tutte le trasmissioni nemiche e di condurre la guerra cibernetica, non è stata nemmeno sfiorata dai razzi di Hezbollah.

Lo stesso contesto fa emergere un altro elemento a dir poco bizzarro. Le vecchie katyusha di fabbricazione sovietica sono le testate meno potenti presenti negli arsenali di Hezbollah e non sono certo sufficienti a colpire o danneggiare un base super protetta come quella dell'Unità 8200. Ma la presunta strategia basata sull'utilizzo combinato di 300 razzi e droni suona, nelle parole di Nasrallah, ancor più ingenua. «L'obbiettivo era lanciare molti razzi su vari obbiettivi in modo da attivare l'Iron Dome per alcuni minuti in modo da permettere ai droni di attraversare il confine». Ma Nasrallah sembra dimenticare un particolare non proprio irrilevante. I droni decollati dall'interno del Libano sono assai più lenti di qualsiasi missile o razzo lanciato dalle zone di confine. Nella realtà sono diventati dunque il segnale di un attacco imminente che ha consentito ad Israele di mettere a segno un massiccio e giustificato attacco preventivo. Oltre a questi errori strategici il discorso di Nasrallah fa trapelare alcuni problemi interni all'asse sciita. Spiegando che Hezbollah ha deciso di «rispondere individualmente per ragioni che diventeranno evidenti in seguito» - il leader sciita finisce con il dar credito alle voci di ricorrenti fratture con la dirigenza iraniana poco propensa - vista la manifesta inferiorità strategica - ad uno scontro diretto con Israele.

Uno scontro che spingerebbe gli Stati Uniti ad intervenire e a colpire, d'intesa con Israele, tutto quell'asse sciita che si dipana attraverso Iraq, Siria, Yemen e Libano. Proprio ieri Washington ha sottolineato la sua disponibilità a sostenere Israele ricordando che la risposta preventiva dello Stato ebraico era stata concordata con la Casa Bianca.

Ma più degli altolà diplomatici Teheran teme il possente dispositivo militare messo in campo da un'America che schiera, tra Golfo Persico e Mediterraneo, due squadre navali guidate dalle portaerei Roosevelt e Lincoln. Quanto basta per sussurrare allo sventato, quanto inconcludente, sottoposto libanese che non è il momento d'attaccare, ma di fermarsi.

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