Per una madre che perde il figlio - innocente - ucciso da un colpo di pistola ci sono tre modi di reagire: il più naturale, imprigionandosi nel silenzio; il più comprensibile, consumandosi nella rabbia; il più difficile, condividendo il dolore. Antonella Leardi, la madre di Ciro Esposito, ha scelto il più difficile. Così va nelle scuole, nelle università (l'ultima volta pochi giorni fa allo Iulm di Milano), ovunque ci siano giovani cui far comprendere che odio e violenza sono il contrario di sport e tifo.
Parole significative se pronunciate da una donna che il suo Ciro, 31 anni, se l'è visto morire tra le braccia nel 2014 dopo 53 giorni di agonia.
Sono trascorsi 9 anni. Gli scontri fra ultrà continuano. Il tempo è passato invano?
«Quello di mio figlio fu un omicidio. Sì, l'amara sensazione è che quel dramma non abbia insegnato nulla a nessuno».
In che senso?
«Nella mia battaglia contro i barbari del tifo sono rimasta sola. Tutti si sono defilati. A cominciare dalle istituzioni che questa lotta dovrebbero combatterla per primi».
Invece?
«Ciò che è accaduto l'altroieri a Napoli è folle».
Un mix di responsabilità a più livelli. Ma qui non vale il detto: tutti colpevoli, nessun colpevole. No. In questo caso: tutti colpevoli, e basta.
«Da giorni, sui social, si parlava degli scontri che si sono poi puntualmente avverati».
Colpa dei delinquenti, certo. Ma anche di chi prima ha impedito di bloccarli (il Tar che ha congelato i divieti del prefetto di Napoli) e dopo di contenerli (vero, ministro Piantedosi?).
«Il problema si trascina da anni. Io sono una donna libera, né di destra né di sinistra. La politica non mi interessa. Sostengo che il modello inglese è quello legislativamente più valido. Ma in Italia al pragmatismo si preferiscono le chiacchiere».
Intanto il killer di Ciro ha beneficiato in appello di uno sconto di pena di 10 anni: da 26 a 16.
«In secondo grado non gli è stata infatti riconosciuta l'aggravante dei futili motivi. Per me è pazzesco, ma rispetto la sentenza. Del resto non ho mai puntato a una sentenza esemplare, ma solo alla verità».
E la verità è emersa?
«No, anzi è stata coperta».
Da chi?
«Da chi ha spacciato l'atto di un terrorista - ribadisco: terrorista - per un gesto di legittima difesa».
Lei divide gli ultrà «buoni» dai «cattivi». Non teme che questa sia la foglia di fico per nascondere il marcio delle curve?
«No. Gli ultrà buoni esistono. Sono la maggioranza. C'è chi capisce gli errori e ha l'onestà di chiedere scusa. Io, anche nella vicenda del mio Ciro, ne ho incontrati diversi. E li ho perdonati».
In passato ha «giustificato» un capotifoso camorrista come Gennaro De Tommaso (alias «Genny 'a carogna»). Non ha esagerato nel «dialogo»?
«Non l'ho giustificato. Quando fu arrestato dissi solo che auspicavo la stessa attenzione mediatica anche per l'assassino di Ciro».
Quanto aiuta la
preghiera nel sopravvivere al lutto di un figlio?«Senza il conforto della religione sarei impazzita. Ciro stava per sposarsi. Voleva trasferirsi in Inghilterra. Era felice. Un colpo di pistola ha distrutto tutto».
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