Un'udienza senza nulla da fare, un'aula di tribunale dove giudici, pm e avvocati rischiano di ritrovarsi stamattina solo per prendere atto del vuoto pneumatico del programma. È questo lo scenario un po' surreale che incombe sul processo Ruby, quello che doveva segnare la battaglia finale nell'eterno scontro tra la Procura di Milano e Berlusconi. E che invece ora perde un pezzo dopo l'altro, scivolando verso un esito che fino a pochi mesi fa sembrava improbabile se non impensabile: l'assoluzione del Cavaliere e di tutti i suoi coimputati, conseguenza degli svarioni giuridici commessi dai pm milanesi nella foga dell'offensiva finale.
È un problema, non solo per la Procura di Milano. Perché per anni intorno al caso Ruby si sono condotte campagne di stampa e talk show, si è ribaltato un governo, si è ironizzato (e questo alla fine risulterà forse il peccato più veniale) su nipoti di Mubarak, cene eleganti e quant'altro. L'assoluzione con formula piena dell'ex premier nel processo principale - imputazione di concussione e prostituzione minorile, condanna in primo grado a sette anni, assoluzione in appello e Cassazione - era già stata una botta quasi indigeribile per i fan dell'attacco giudiziario. Ma subito dopo era partita la potenziale riscossa, l'incriminazione per falsa testimonianza di tutti gli ospiti delle feste di Arcore che avevano osato escludere di avervi assistito ad alcunché di impudico: e di Berlusconi accusato insieme a loro di corruzione giudiziaria per avere versato cifre cospicue in cambio del loro silenzio.
Era un processo curioso, perché il leader di Forza Italia veniva accusato di avere truccato un processo in cui era innocente. Ma la Procura si preparava a chiedere una condanna esemplare. E lo spettro del «Ruby ter» viene sventolato da settimane da chi, Fatto e Repubblica in testa, vede la candidatura del Cavaliere al Quirinale come un'onta da cui l'Italia va difesa ad ogni costo.
Sembrava un percorso segnato: impossibile arrivare a una condanna prima del voto per la presidenza della Repubblica, possibilissimo far sfilare in aula le Olgettine ad accusare il loro ex anfitrione di averle prima usate e poi comprate. Effetto mediatico garantito. Da settimane le rivelazioni in aula delle fanciulle venivano date per imminenti. Ma poi, all'improvviso, l'intoppo. Perché il 3 novembre il tribunale presieduto Marco Tremolada prende atto, dopo gli ultimi sviluppi, di quanto molte difese sostenevano da tempo: gli interrogatori in cui le ragazze, Kharima el Mahroug alias Ruby in testa, avrebbero detto il falso sono tutti affetti da «inutilizzabilità assoluta» perché la Procura avrebbe dovuto sentirle come indagate, visto che da tempo scavava proprio su di loro e sui rapporti economici con Berlusconi. Invece vennero chiamate da sole, senza avvocato. Un escamotage che ora rischia di affossare l'intero processo.
Dopo l'ordinanza-choc di Tremolada, la Procura ha cercato di salvare il salvabile: sostenendo, a margine delle udienze, che anche cadendo il reato di falsa testimonianza resterebbe comunque l'accusa di corruzione giudiziaria, essendo provati i versamenti (ammessi peraltro dallo stesso Berlusconi). Ma se le ragazze non erano testimoni non erano neanche pubblici ufficiali. E la corruzione si sgretola. Adesso anche i giornali filo procure se ne sono resi conto.
Le Olgettine lo hanno capito al volo: così quelle che avevano fatto trapelare il proposito di vuotare il sacco stanno
facendo al volo marcia indietro. Così le udienze si svuotano, in aula circola una sorta di smarrimento e aleggia una domanda: se Berlusconi scampa anche a questa accusa, cosa scoveranno per bloccare il suo ritorno in auge?
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