Francia ad alta tensione: allarme scontri sul voto

Il ministro dell'Interno alla vigilia del primo turno: "Temo disordini gravi". Sondaggi, crollo Macron

Francia ad alta tensione: allarme scontri sul voto
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Francia domani al voto. Campagna cortissima, tesa come non mai: tanto che il ministro dell'Interno Darmanin ieri ha detto di temere «disordini estremamente gravi» in caso di sconfitta del campo presidenziale (di cui lui fa parte). D'altronde aveva già tentato di fare lo sgambetto alla vera novità di questa tornata: l'alleanza-lampo tra una parte dei neogollisti e Marine Le Pen, bollata da Darmanin come unione d'estrema destra per spaventare gli elettori. Toni dispregiativi a dir poco irrituali. Per ora parlano i sondaggi. I lepenisti annusano il potere, ritenuti in grado di ottenere la maggioranza assoluta (289 deputati); se non domani, al secondo turno del 7 luglio. Il Rassemblement national è infatti in vantaggio col 36% (260-295 seggi stimati da Elabe), seguito dal fronte popolare della gauche col 27,5% (in crescita +0,5%). Distante, la compagine macroniana al 20% che crollerebbe da 249 seggi a 85-105. Più che dimezzata.

Fermi al 9% quei Républicains che non hanno assecondato la svolta del presidente del partito, Ciotti, il quale aveva invitato i suoi a smetterla di inventarsi un'opposizione immaginaria ai lepenisti, visto che su molti dossier, immigrazione e sicurezza in primis, i militanti dei due partiti parlano ormai la stessa lingua almeno nelle città. Per la prima volta, insomma, la Francia è alle prese con un tripolarismo che potrebbe vedere azzerato l'effetto «barriera» su cui, dalla nascita del Front National si è fondata la strategia «taglia fuori» azionata dai cartelli tradizionali. Arco allargato da Ciotti e normalizzazione lepenista sdoganata pronta a far saltare il meccanismo.

Dopo lo scioglimento dell'Assemblée annunciato da Macron la sera stessa dei risultati delle europee, causa sonora sconfitta, Ciotti ha infatti stretto un patto con Le Pen. In particolare col delfino «BleuMarine» Jordan Bardella, 28enne premier in pectore, che ora crede all'impresa: primo lepenista della storia a poter aspirare a guidare un governo. Tre poli dominano, ma solo l'alleanza a destra è vicina alla maggioranza assoluta che neppure Macron ebbe nel 2022; eventualità che costringerebbe il presidente ad accettare una «coabitazione». Un quarto degli elettori è ancora indeciso. Ieri è continuata la caccia all'ultimo voto. Campagna chiusa nei mercati, per il premier uscente Attal nominato appena lo scorso gennaio. Ultima tappa a Lione, camicia cravatta e fazzoletto per asciugarsi il sudore in favore di camera. Ha invece dovuto rinunciare a recarsi nella scuola di periferia incendiata la scorsa settimana da due minorenni, da cui avrebbe voluto dare un segnale di fermezza dopo le promesse lanciate senza seguito sul ripristino dell'ordine in tutta la Francia. Due 13enni sono stati arrestati, ma i danni causati impediranno di terminare l'anno scolastico. Il sindaco di Meyzieu, in polemica, si è rifiutato di aprirgli. È diventato bersaglio mobile: tanto delle sinistre (l'alleanza tra socialisti, verdi, comunisti e Insoumis di Mèlenchon, contestato nel suo stesso campo e tacciato di antisemitismo da Macron e pure da Le Pen) quanto per il Rn. Ieri il suo ultimo affondo contro Bardella, accusato d'aver sdoganato l'odio e creato un «clima esacerbato». In realtà, Elabe ha chiesto ai francesi quale premier vorrebbero: il 37% dice Bardella, il 35% Attal, il 25% il socialista Glucksmann.

Segnali di voglia di dire la propria a tutti i costi oltre a una partecipazione stimata tra 63-65% che avvantaggerebbe la destra. Già oltre 2 milioni sono le richieste di voto per delega (5 volte di più rispetto al 2022).

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