Le frizioni di D'Alema coi suoi sulla trattativa per le armi

"Basta inutili litigi, lavoriamo insieme per l'obiettivo". L'ira dell'ex premier alle "Iene": intercettato illegalmente

Le frizioni di D'Alema coi suoi sulla trattativa per le armi

Ci sono stati anche momenti di tensione tra i mediatori dell'affare colombiano che coinvolge Massimo D'Alema. L'ex premier però via sms richiamava tutti all'ordine: «Vorrei che si lavorasse tutti insieme per l'obiettivo». Del resto l'affare da 4 miliardi - stando alle offerte preliminari - per la vendita di aerei e navi militari di Leonardo e Fincantieri alla Colombia valeva 80 milioni di euro di premio. Ovvero il 2 per cento del business, stando alle parole dello stesso D'Alema, registrato - o come sostiene lui alle Iene, «intercettato», illegalmente - mentre parlava con l'ex paramilitare colombiano Edgar Fierro. Condizioni contrattuali considerate «straordinarie» dall'ex premier, perché «normalmente i contratti di promozione commerciale hanno un tetto, in questo caso no».

Prima che l'affare saltasse con la fuga di notizie, D'Alema assicurava al suo «team» che i contratti di Leonardo e Fincantieri allo studio legale di Miami Robert Allen Law - indicato da lui come soggetto da cui far passare l'operazione - erano in dirittura d'arrivo. Ma il lavoro sul business era in corso da mesi, gli altri mediatori si lamentavano per le spese già sostenute di tasca propria, e a volte c'erano tensioni di vario genere tra il team. Il 31 gennaio, dopo alcune frizioni, D'Alema scrive: «Vorrei che si smettesse di fare inutili litigi e che si lavorasse tutti insieme per l'obiettivo. Ci possono essere risultati molto importanti». In particolare Francesco Amato, uno dei due consulenti pugliesi che avevano proposto l'affare a D'Alema per le sue conoscenze con i vertici delle aziende, aveva confronti aspri con l'ex premier, che lo descriveva come «un giovane che fa confusione». Intervistato dalle Iene, Amato sostiene di aver sborsato 88mila euro per l'operazione poi saltata. Ma lascia intendere altro: «Io sono andato sei volte in Colombia. Però c'è tutto un lavoro dietro, fatto con persone in Colombia per muovere la cosa. Per vedere di muovere l'affare, di aprire le porte». Avete dovuto - gli chiedono - come si dice, oliare i meccanismi? «Chiamateli come volete - dice - Però è un lavoro che si è fatto».

E le partecipate? Da quando è scoppiato il caso, Fincantieri e Leonardo negano di aver affidato incarichi ai soggetti di questa storia. Ed è così, sebbene si sia arrivati a un passo dall'affidarli prima che andasse tutto all'aria. Fincantieri si era spinta a firmare una dichiarazione di intenti preliminare con la Colombia, supervisionata dall'avvocato dello studio Allen segnalato da D'Alema. Ora ha sospeso le deleghe a Giuseppe Giordo, il direttore della divisone Navi Militari che interloquiva con l'ex premier. Il 12 dicembre però un altro manager di Fincantieri - e non era presente Giordo - era a Cartagena per un'interlocuzione preliminare sull'affare, accompagnato da Bonavita. Amato riferiva a D'Alema: «L'uomo di Fincantieri è con i nostri in Colombia per informazioni riservate sul piano di sicurezza e sui concorrenti (altre società interessate a fornire navi, ndr)». E lui: «Lo so».

Quanto a Leonardo, aveva addirittura scritto una bozza di contratto per lo studio Allen. E sono diversi i messaggi in cui l'ex premier tira in ballo l'ad Alessandro Profumo nella trattativa.

Per esempio nelle call che si stavano organizzando con i rappresentanti dello Stato colombiano. D'Alema si raccomandava così in chat: «Naturalmente il diritto a parlare è limitato a me, Profumo e Giordo. Gli altri ascoltano».

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