Fuga da Mosca del rabbino capo. "Contrario alla guerra di Putin"

Pinchas Goldschmidt ha lasciato il Paese in cui viveva da 30 anni. Le pressioni del Cremlino perché sostenesse l'invasione

Fuga da Mosca del rabbino capo. "Contrario alla guerra di Putin"

Pinchas Goldschmidt ha scelto l'esilio. Anche in Russia c'è chi dice «no alla guerra» e il rabbino capo di Mosca, prima si è rifiutato di sostenere l'invasione dell'Ucraina e poi ha scelto di rifugiarsi all'estero, lasciando il Paese in cui viveva da oltre 30 anni, con rilevanti responsabilità religiose e crescenti difficoltà di natura politica.

Ha preferito andar via. Gli avevano «sconsigliato» di tornare, come ha scritto il «Times», e martedì i familiari hanno potuto «finalmente» rivelare quanto accaduto. «I miei suoceri - ha scritto Avital Chizhik-Goldschmidt, giornalista e moglie di uno dei figli del rabbino - sono stati messi sotto pressione dalle autorità per sostenere pubblicamente l'operazione speciale in Ucraina e hanno rifiutato».

Nato in Svizzera, Goldschmidt era arrivato in Russia nel fatidico 1989. Aveva fondato il coordinamento rabbinico della Comunità di Stati indipendenti, poi nel 1993 era diventato rabbino capo di Mosca lasciando un segno di operosità e attivismo: scuole, asili nido, mense per i poveri. Ha pure fondato il Russian Jewish Congress, in pratica ricostruendo e organizzando la vita comunitaria dell'ebraismo russo - che vede anche una consistente presenza del mondo Lubavitch, che ha un orientamento tutto suo nel rapporto col potere politico. Dal 2011 è anche presidente della Conferenza dei rabbinica europea, il «Cer», sigla che riunisce centinaia di autorità religiose che vanno dall'Europa occidentale al Pacifico: l'organismo istituzionale dell'ebraismo continentale.

Quella che lascia la Russia, insomma, è una delle massime autorità ebraiche del mondo, ma appare sulla scena pubblica il primo leader religioso russo che critica apertamente l'offensiva scatenata da Putin. La guerra ha costretto più della metà della sua popolazione ebraica a fuggire - ha detto Goldschmidt - evocando la situazione del Paese attaccato, ricco a sua volta di una tradizione giudaica antica, anche se segnata dolorosamente dalla Shoah. Prima della Seconda guerra mondiale, nonostante le traversie di una storia drammatica, in Ucraina viveva la più grande comunità europea. Moltissimi furono sterminati e lo stesso presidente Volodimyr Zelensky ha raccontato di essere il nipote dell'unico sopravvissuto della famiglia.

Goldschmidt si è schierato contro la guerra e questa è stata la sua scelta definitiva, ma già in passato aveva dovuto subire iniziative ostili. Nel 2005 fu pubblicato un appello contro di lui, con accuse indirettamente ispirate a persistenti retaggi antisemiti. Lui rispose pubblicamente e dettagliatamente. Fu espulso dalla Russia, ma grazie a una campagna internazionale poté tornare, con l'avallo di un decreto del Cremlino.

Stavolta ha scelto l'esilio. Avendo rigettato la richiesta di sostenere la campagna militare, due settimane dopo l'inizio dell'invasione dell'Ucraina ha lasciato Mosca. Non ha potuto raccontarlo pubblicamente per paura di mettere in difficoltà la comunità ebraica del Paese, che conta 500mila persone. Quindi, insieme alla moglie, prima è approdato in Ungheria e infine a Gerusalemme.

All'inizio di maggio, aveva ammesso di essere in Israele, ma si era limitato a parlare del ricovero in ospedale del padre. Ora è emersa tutta la storia. E malgrado la sua assenza, nei giorni scorsi è stato rieletto rabbino capo per un altro mandato di sette anni.

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