Israele, Netanyahu più forte con Lieberman alla Difesa

Lieberman, proprio all'apposto di quel che si pensa in giro, potrebbe aver già stretto con Bibi Netanyahu un accordo per mandare avanti su un terreno diverso un processo di pace rinnovato, il cui slogan sia sicurezza e elasticità

Israele, Netanyahu più forte con Lieberman alla Difesa

Netanyahu aveva 61 seggi in un parlamento che ne conta in tutto 120. Pochi davvero, il suo governo era sempre in bilico. La trattativa con la sinistra di Ytzchak Herzog, segretario dei laburisti dell'Unione Sionista, è fallita sui dissidi interni di quel partito. Disponibile invece, dopo una lunga trattativa, il partito di Avigdor Lieberman, «Israele la nostra casa», una formazione moderata laica sostanzialmente russa, 6 seggi, un capo verbalmente molto aggressivo soprattutto, in realtà, contro Netanyahu stesso. Per accoglierlo deve avere superato molte pesanti memorie, ma ora il governo è un po' più forte. Legittimo? Eppure una moda vieta, scontata, basata su assunzioni fantasiose usa moltissimo scrivere e ripetere oggi che Israele è su una china autoritaria pericolosissima, che anzi quasi sta diventando un regime fascista, e soprattutto che la pace è svanita all'orizzonte perché Lieberman mai si piegherà alle concessioni necessarie per fare la pace coi palestinesi. Oltretutto abita nei territori! Un peccato mortale.

Ricordiamo, come di prammatica, che fu Begin, non certo un «liberal» a siglare la pace con l'Egitto. E Avidgor «Yvette» Lieberman, anche se è di sicuro un conservatore (peccato mortale, sempre, per la stampa internazionale, e «on top» per quella italiana) è anche un personaggio decisamente laico, per niente messianico e quindi niente affatto geloso di ogni pezzettino di terra biblica, abbastanza ambizioso da volere ascrivere anche a se stesso un'eventuale progresso verso la pace. È vero che considera essenziale, a ragione, la sicurezza per Israele in tempi di terrorismo ampiamente diffuso anche dalle parte dei palestinesi. E tuttavia non è un caso, scrive Alex Fishman su Yediot Ahronot, che a una recente conferenza per gli studenti del Centro Interdisciplinare di Herzlya Lieberman abbia detto che vede all'orizzonte «un accordo onnicomprensivo con la mediazione del mondo arabo».

Una formula vuota? Niente affatto, probabilmente, dice Fishman, parte della trattativa con Bibi: e quest'idea potrebbe rappresentare un'autentica svolta da quando Abdel Fattah al Sisi ha fatto il 17 maggio un discorso in cui si offriva come mediatore di una trattativa diretta fra Israele e i palestinesi. Netanyahu ha risposto con un caloroso benvenuto all'idea di al Sisi e pare che il già capo del Quartetto Tony Blair gli abbia dato un segnale di via (dopo aver conferito con Netanyahu, si può pensare) per parlarne ai sauditi e ai paesi del Golfo. E sulla scena si è visto profilarsi un incontro al Cairo da contrapporre all'iniziativa francese che dovrebbe aver luogo quanto prima contro il parere di Israele, che si aspetta il preannunciato atteggiamento tutto filopalestinese dell'Europa.

Lieberman, proprio all'apposto di quel che si pensa in giro, potrebbe aver già stretto con Bibi Netanyahu un accordo per mandare avanti su un terreno diverso un processo di pace rinnovato, il cui slogan sia sicurezza e elasticità.

È un peccato, certamente, che per ora sia uscito dall'orizzonte Moshe Ya'alom, che è stato un ottimo ministro della Difesa. Ma il personaggio è di tale competenza e popolarità che un ritorno alla politica, come avviene nelle democrazie avanzate come Israele, non si farà aspettare.

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