Un fuoricampo contro la paura. Codogno riparte dal baseball

Nell'ex focolaio torna lo sport con il "derby del Covid". Emozione per coach Ardemagni, il "paziente 1 e mezzo"

Un fuoricampo contro la paura. Codogno riparte dal baseball

Cecchino Ardemagni a Codogno è un'istituzione. Non solo perché per più di vent'anni è stato uno storico coach della squadra di baseball, ma perché chiunque da queste parti è caduto vittima delle sue battute, dei suoi racconti, delle sue iperboli dialettali, nelle serate passate assieme nella pizzeria in piazza Cairoli. Ma adesso Cecchino a Codogno ha un motivo in più per essere considerato e purtroppo non è per sport o serate in birreria: Ardemagni, 68 anni, può essere infatti considerato il paziente «uno e mezzo», perché quel maledetto 21 febbraio, dopo il caso ormai tristemente famoso di Mattia, è stato il secondo paziente ad essere ricoverato con la diagnosi di Covid. Da quel giorno anche per Cecchino una lunga e tormentata odissea, passata attraverso un lungo ricovero al Sacco e al Don Gnocchi di Milano, prima di tornare a casa solamente il 18 giugno.

Ieri Cecchino Ardemagni non era al campo da baseball, perché fa ancora fatica a camminare, ma a Codogno c'era il presidente della federazione Andrea Marcon che ha voluto omaggiarlo portandogli a casa una maglia della Nazionale, prima di assistere alla partita che ha aperto il campionato italiano di questo sport, relegato da anni nelle retrovie della popolarità, ma improvvisamente balzato agli oneri (più che agli onori) delle cronache proprio per il Covid. Quando è scoppiata la pandemia nei paesi della Bassa, furono proprio due giocatori di baseball, uno del Codogno e uno degli storici rivali del Lodi, a «rompere» l'isolamento della zona rossa lanciandosi simbolicamente una pallina attraverso la linea immaginaria che divideva le zone «infette» dal resto d'Italia, salvo poi scoprire che tutta la Lombardia, tutto il Paese e tutto il mondo sarebbero entrati rapidamente nel terribile isolamento. Ieri a Codogno si è voluta invece anticipare la prima giornata del campionato italiano, con la sfida di serie B tra i padroni di casa e il Piacenza, una sorta di «derby del Covid» visto che se la località lombarda è stata il focolaio iniziale, la città emiliana, distante appena una quindicina di chilometri, ha pagato uno dei tributi più pesanti (quasi mille decessi in tutta la provincia) a questa pandemia.

E bene ha fatto il presidente Marcon a volere questa partita come «opening game» della stagione, come si usa negli Stati Uniti, perché questa sfida simbolica è l'immagine dell'Italia dello sport che vuole ripartire. Senza dimenticare quello che abbiamo vissuto, tanto che nel secondo sport di squadra, dopo il calcio, a tornare in campo si sono visti giocatori distanziati sulle panchine, allenatori a bordo campo con le mascherine, nessun contatto fisico con l'arbitro, tutto rigorosamente a porte chiuse e regolato da un protocollo molto prudente. E per non dimenticare, i dirigenti del baseball e il sindaco Francesco Passerini hanno voluto premiare prima della partita gli operatori dell'ospedale di Codogno, da cui è iniziata la pandemia.

Codogno che ha pagato tanto al Coronavirus, perché qui tutti hanno pianto un parente o un amico, anche nel baseball che ha perso l'ex preparatore atletico Enzo Tinelli, per anni atleta e rugbista di livello, mentre l'ex azzurro Mariano Marchini ha perso il padre.

Ma adesso è il momento di guardare avanti: il Codogno ha ricominciato vincendo il derby col Piacenza ai supplementari per12-11 e domenica affronterà la prima trasferta a Milano, altra città al centro del virus, altra storia. Si giocherà allo stadio Kennedy che ha sullo sfondo la mole dell'ospedale San Carlo. Tanto per non dimenticare.

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