Luciano Gulli
Da soli, noi europei non ce la facciamo. Ecco la verità. È venuto il momento che il mondo tutto il mondo, anche quello che per collocazione geografica potrebbe dirsi «indifferente»- ci dia una mano. Perché il fenomeno epocale delle migrazioni è come un'onda d'urto, uno tsunami al rallentatore che rischia di schiantare l'assetto politico-sociale del Vecchio Mondo. Con le ripercussioni, anche di tipo economico (argomento di fronte al quale tutti sono pronti a drizzare le orecchie) che dall'Europa finirebbero per riverberare sul resto del pianeta. Questo, detto senza mezzi termini, l'appello lanciato dai vertici delle istituzioni europee al G20 in Cina. Ed è stato questo, insieme con il tema del riavvicinamento fra il presidente turco Erdogan e quello americano Obama, il leit-motiv dei temi in discussione fra i più grandi del mondo al summit di Hangzhou.
Del tema migranti si sono fatti portavoce il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, e Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione Europea. «È una sfida globale che richiede una soluzione globale», ha detto Tusk, aggiungendo che «la comunità del G20 deve iniziare a condividere la responsabilità del fenomeno: ci sono 65 milioni di persone in fuga nel mondo, mentre 4 milioni sono coloro che hanno dovuto lasciare la propria casa nella sola Siria». E ancora: «Dobbiamo combattere contro le rotte dei migranti intervenendo nei Paesi di transito, e questo è il motivo per cui abbiamo deciso di estendere il nostro piano al mondo esterno».
C'è, insieme con quella dei migranti, una crisi strutturale, di economia globale, che trascende il tema delle tumultuose migrazioni, e richiede una strategia per la crescita forte e condivisa. Una strategia che punta sul triangolo investimenti-riforme-controllo dei conti che sta funzionando, secondo Juncker. «Le riforme portano risultati», ha aggiunto. Dopo anni di crisi, ha aggiunto Juncker, «dobbiamo dimostrare che possiamo produrre una crescita di lungo termine e restituire fiducia». Sul punto, nessuno più del presidente cinese Xi Jinping poteva essere più d'accordo. La strada celeste su cui deve incamminarsi il mondo, per Xi, è quella di un «nuovo percorso di crescita». Guai a chi invoca un ritorno delle barriere e dei protezionismi (vedi la «Brexit strategy» di Londra, e i vaniloqui di Donald Trump, pronto a innalzare muri e palizzate. Secondo la ricetta di Xi, invece, bisogna stimolare il commercio mondiale e gli investimenti, riducendo le diseguaglianze. È lo stesso tema di «crescita a lungo termine», solida e sostenibile, su cui sono d'accordo anche giapponesi e tedeschi, che con Angela Merkel hanno indicato la via per la creazione di una task force internazionale per l'innovazione.
Di riforme, e di futuro, al quale guardare senza timori ha parlato anche il nostro primo ministro. «Per vedere i risultati delle riforme occorrono anni, ma non dobbiamo avere paura del futuro, anche se il futuro viaggia veloce e può impaurire», ha detto Renzi. Che ha ringraziato il presidente Usa Obama per avere citato nel suo intervento le riforme messe in campo dall'Italia, e il presidente cinese, Xi Jinping, per avergli espresso le proprie condoglianze dopo il terremoto che ha sconvolto il cuore dell'Italia.
A margine del G20, ecco infine il riavvicinamento, dettato verosimilmente da ragioni di realpolitik, tra Obama e il presidente turco Recep Erdogan. Gli Usa, promette Obama, aiuteranno la Turchia (alleato insostituibile nel cruciale quadrante sud orientale europeo) a «portare dinanzi alla giustizia i responsabili del fallito colpo di Stato del 15 luglio».
Non è chiaro al momento se questa frase debba preoccupare Fethullah Gülen, arcinemico di Erdogan da tempo rifugiato in America. E pazienza, viene da aggiungere, se quest'ultimo non si è mostrato, dopo il golpe, un campione nella difesa dei diritti umani- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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