«Per quello che è a conoscenza dei servizi italiani, attività volte a favorire la caduta del governo Draghi da parte di queste interlocuzioni non ci sono state. È questa la cosa che dovrebbe interessare di più». Franco Gabrielli potrebbe fermarsi qui. Ma il sottosegretario con delega ai servizi segreti, l'uomo di Mario Draghi sul fronte dell'intelligence, va più in là. Il tema è quello che da tre giorni agita il mondo di mezzo tra politica e servizi, la rivelazione della Stampa sul documento riservato che racconterebbe le manovre russe, tramite la Lega, per fare cadere il governo di unità nazionale.
Gabrielli aveva già smentito a botta calda che il rapporto provenisse dai servizi. Non solo: aveva anche negato che i servizi avessero traccia di attività simili in corso in Italia. Ma non è servito a niente, da sinistra - con la campagna elettorale che scalda i motori - il tema continua a venire sventolato come se la smentita non ci fosse stata. Così lo «zar» dei nostri 007 venerdì sera torna sul tema. Intervistato a Vieste in un festival letterario, picchia sui giornalisti, sull'«utilizzo disinvolto», sulla «attribuzione apodittica» ai servizi di documenti prodotti chissà dove. Ma il vero bersaglio non è la stampa. È chi all'interno dei servizi segreti sta in questi mesi giocando una partita pesante, di cui le fughe di notizie sono uno strumento fondamentale. Sono gli «infedeli», quelli che hanno in mente obiettivi che con la sicurezza nazionale hanno poco a che fare. Alcuni, fa capire Gabrielli, sono già stati individuati e cacciati: «Qualcuno è già andato, e non ci fermiamo lì». Il repulisti va avanti.
Sono parole di durezza inusitata, e fanno capire bene come il caso sia solo agli inizi. Perché nella fase convulsa in cui la fine del governo Draghi si è accavallata con l'attacco russo all'Ucraina, all'interno dei servizi segreti pare sia accaduto un po' di tutto. Una sola certezza: qualcuno si è divertito a fare circolare («per i motivi - dice Gabrielli - più disparati: amicizia, simpatia, soldi, convincimento politico, o perché magari vuol fare dispetto a qualcun altro») carte oggettivamente false.
«Qualcuno è già andato», dice Gabrielli parlando dell'epurazione degli infedeli. Ed effettivamente nelle settimane scorse un certo numero di dirigenti dei servizi è ritornato ai corpi di provenienza. Si tratta soprattutto di ufficiali della Guardia di finanza. Il problema è che alcuni sono stati ricollocati subito in posti di rilievo delle Fiamme gialle, come se il giudizio negativo formulato da Gabrielli non fosse condiviso dalla Finanza. E, soprattutto, dopo la cacciata i problemi non sono finiti.
La ricerca delle «manine» era scattata dopo la pubblicazione sul Corriere di una lista di personaggi accusati di fare da megafono in Italia alle posizioni di Putin. Gabrielli aveva disconosciuto la lista (e ieri ribadisce, «hanno citato il nostro bollettino, io ho fatto desecretare il bollettino e quella frase non c'era») ma intanto era partita la caccia all'«infedele»: perché anche in quel caso l'unica ipotesi da escludere era che il giornalista si fosse inventato tutto.
Adesso la scena si ripete identica, con il documento pubblicato dalla Stampa. Anche stavolta Gabrielli lo liquida come un apocrifo, «nella precisazione della Stampa si parla di una sintesi informale... ma de che stamo a parlà?...». Ma è il primo a sapere che la patacca non può che venire dai corridoi di piazza Dante. Allora delle due l'una: o nelle settimane scorse, dopo che era uscita la lista dei filo-Putin, sono state cacciate dai servizi le persone sbagliate; oppure di «infedeli» dentro ai servizi ce ne sono così tanti da potersi dare il cambio. In entrambi i casi, un bel guaio.
Gabrielli sa di essere a fine corsa, il posto «abbastanza privilegiato dal punto di vista del flusso informativo» da ottobre non sarà più suo. Ma vorrebbe chiudere bene, lasciandosi alle spalle dei servizi pacificati. Sarà dura.
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