«È previsto da normativa attuale, che prevede per assurdo che il ministro competente possa prendere le decisioni in autonomia». L'ultima della giornata, la frecciata del neo responsabile del Turismo Garavaglia al collega della Salute, Speranza. Certe volte viene da pensare che il virus della confusione, dell'indecisionismo a cui a volte si sostituisce poi il decisionismo fuori tempo massimo sia peggio del Coronavirus. In queste ore se ne son viste di tutti i colori: il Cts che boccia la riapertura delle piste da sci a scioline già applicate, Walter Ricciardi, consigliere del ministro Roberto Speranza, che invoca un lockdown totale per un mese lasciando intendere che chi lo ha sempre ascoltato a Roma farebbe bene a farlo anche stavolta, il commissario all'emergenza Domenico Arcuri che annaspa tra i dossier e fa sospettare di aver smarrito la bacchetta magica durante un trasloco. In questo caos non si sa più chi comanda chi, al punto che ieri i ministri Speranza e Gelmini e il presidente della conferenza delle regioni Bonaccini hanno incontrato il Cts per invocare un coordinamento più stretto.
Ieri per tutta la giornata sono piovute, anzi sono nevicate critiche sul Cts, il Comitato tecnico-scientifico diretto da Agostino Miozzo e composto da 26 membri che da un anno (è nato il 3 febbraio 2020) affianca i ministri nelle decisioni sull'emergenza Covid. Esperti che - va detto - prestano la loro opera a titolo gratuito, anche se alcuni sono stati ripagati dalla moneta di una fama mai sfiorata in anni di gloriosa carriera: pensate a Franco Locatelli (nel tondo, ndr), il presidente del Consiglio superiore di sanità. E pensate a Silvio Brusaferro, direttore dell'Iss e prezzemolino. Personaggi che per mesi hanno governato la nostra vita ma che a fare i parafulmini della politica non ci stanno. Ieri erano piuttosto amareggiati. Ma come - masticava amaro qualcuno - lavoriamo gratis per il bene dell'Italia e ci trattano da idioti?
Secondo il Cts il dossier sulla possibile riapertura degli impianti sciistici è arrivato sul tavolo degli esperti giovedì scorso, con il timbro dell'urgenza. Un giorno per esaminare i dati e poi il parere, che suggeriva «un approccio generale di estrema cautela, rilevando che, allo stato attuale, non appaiono sussistenti le condizioni per ulteriori rilasci delle misure contenitive vigenti, incluse quelle previste per il settore sciistico amatoriale, rimandando al decisore politico la valutazione relativa all'adozione di eventuali misure più rigorose». Un magnifico esercizio di burocratese hardcore, ma chiaro il senso: meglio di no, ma decida la politica. Che poi il ministro Speranza abbia atteso quasi due giorni per trasformare questo sconsiglio in un niet, sono cose che attengono ai tempi del Palazzo, certo non facilitati dal cambio di governo, anche se al ministero della Salute scatoloni non se ne sono visti. Ma il discorso è comunque più ampio. A ognuno il suo mestiere: gli esperti spieghino, la politica decida. E se secondo competenza. Se uno ha la febbre mica è colpa del termometro.
Poi ci si è messo Ricciardi, che ha agitato il lucchetto davanti agli italiani proponendo un mese di chiusura (quasi) totale per rimettere in ordine i numeri dei contagi. Ricciardi del Cts non fa parte, ma pure lui è uno scienziato, pure lui è di supporto al governo, pure lui è un rigorista, e questa categoria così apprezzata qualche mese fa oggi è in grave crisi di popolarità. Ovvio quindi che la sua uscita abbia reso ancora più delicata la situazione del Cts. «Ricciardi parla per se stesso, e le sue affermazioni non rispecchiano l'opinione del Comitato», fanno sapere Miozzo e soci.
Ricciardi, da parte sua, si è impermalosito non poco per gli attacchi subiti: «Bene se posso essere utile con i miei consigli, lo faccio a livello internazionale e anche in Italia, altrimenti mi faccio da parte». E non c'è niente di più politico del gioco delle dimissioni. Anche quelle di un virologo.
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