La gauche tace: solo sberleffi al Cav assolto. E sputano sulla tomba di Ghedini

Nessuno commenta il verdetto che smonta la montagna di fango

La gauche tace: solo sberleffi al Cav assolto. E sputano sulla tomba di Ghedini

L'unico che da sinistra ieri apre bocca sulla sentenza del Ruby ter è Gianni Cuperlo, che forse vuole distinguersi nei sondaggi per le primarie del Pd che lo vedono fanalino di coda: «Chi ha votato nel Parlamento della Repubblica che una giovane donna era nipote di un capo di Stato straniero dovrebbe solamente scusarsi e poi tacere. Questo in un paese normale». Tutto, insomma, sembra ridursi al voto della Camera che nel 2012 chiese alla Corte Costituzionale di considerare atto di governo le chiamate di Silvio Berlusconi alla Questura di Milano, la notte che Ruby venne fermata. Dimentica, Cuperlo, che quelle telefonate nel processo ci sono entrate a pieno titolo, e che sono state giudicate lecite sia in appello che in Cassazione, nelle sentenze che assolsero Berlusconi.

Di tutto il resto, della anomalia di una serie di processi che per dodici anni hanno condizionato la vita del Paese e che hanno rivelato tutto la loro inconsistenza, Cuperlo non parla. E tacciono anche tutti gli altri esponenti della sinistra che del caso Ruby fecero ampio uso nel 2011 per affossare il governo Berlusconi, da Paolo Gentiloni a Enrico Letta, da Dario Franceschini («La telefonata alla questura di Milano - disse - configura un reato grande come una casa e in qualsiasi paese del mondo avrebbe già portato alle dimissioni del premier») a Anna Finocchiaro («una persona incapace di darsi dei limiti in preda a istinti e pulsioni incontrollabili soggetta a ricatti più incresciosi»), a tutti quelli che sembravano allora arciconvinti che l'indagine della Procura milanese li avrebbe finalmente liberati dal Caimano. E invece.

Ma ancor più del silenzio dei politici fa effetto la versione della sentenza milanese che viene dal fronte mediatico dell'offensiva condotta in questi anni sull'onda del caso Ruby. Le argomentazioni, di solidità inoppugnabile, che il tribunale di Milano ha speso per dichiarare che «il fatto non sussiste» vengono liquidate come un «cavillo» sulla prima pagina di un quotidiano, suscitando l'indignazione degli avvocati della Camera penale di Milano: «Che la persona indiziata di un reato debba essere sentita con le garanzie difensive è principio cardine di qualsiasi sistema giuridico moderno».

Battaglia persa. Per raccontare che Berlusconi, come direbbe Davigo, è «solo un colpevole che l'ha fatta franca» si arriva a usare qualunque argomento. Il più brutale, perché insulta un morto, l'avvocato Niccolò Ghedini, è la vignetta che Il Fatto quotidiano ospita in prima pagina. Il direttore dello stesso giornale, Marco Travaglio, usa un altro argomento, quello delle cosiddette leggi ad personam: «I giudici che assolvono Berlusconi - scrive - sono giudici del quieto vivere e delle carte a posto: quelli che prima decidono di assolvere il colpevole, poi si arrampicano sugli specchi per cercare uno straccio di motivazione. Un tempo non l'avrebbero trovata, ora hanno l'imbarazzo della scelta». Peccato che il diritto degli indagati a essere interrogati alla presenza di un avvocato fosse presente già nel codice di procedura penale varato dal governo fascista nel 1930, sette anni prima che Berlusconi venisse al mondo. Ma tutto questo sembra non contare, «il fatto non sussiste» ma continua a sussistere nelle cronache e negli editoriali.

Giornalisti irriducibili, insomma, e oppositori silenti: come Luigi Zanda, che nel 2011 parlava di «episodi disgustosi di vera e propria depravazione», augurandosi che in un processo «venga fatta al più presto in dibattimento un'opera di verità»: ma adesso che il processo c'è stato ha altro a cui pensare.

Così l'unica voce che si leva dalle opposizioni è quella assennata di Raffaella Paita, capogruppo di Italia Viva al Senato: «L'assoluzione di Silvio Berlusconi dall'accusa di corruzione è una buona notizia per lui ma soprattutto per le istituzioni».

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