Il crinale è scosceso ma non è detta l'ultima parola. «Stiamo lavorando con il ministro Fitto e con il governo per superare le difficoltà che tutti conosciamo», ha detto ieri il commissario Ue agli Affari economici, Paolo Gentiloni, a proposito dei ritardi del nostro Paese nella realizzazione del Pnrr. Una lentezza che il titolare del dicastero degli Affari Ue ha denunciato annunciando di fatto che «alcuni interventi al 2026 non potranno essere realizzati». L'ex premier ora a Bruxelles ha cercato di sdrammatizzare la questione relativa al rinvio di un mese nell'erogazione della terza tranche da 19 miliardi inizialmente attesa per oggi. «Una decisione analoga è già stata presa per altri 7-8 Paesi; non enfatizzerei questa decisione», ha evidenziato Gentiloni aggiungendo che «la sfida per attuare un piano di queste dimensioni (191,5 miliardi) è molto seria per le nostre capacità di assorbire la spesa». Per questo, «dobbiamo concentrarci nello sforzo di superare questa sfida», ha concluso.
Ma perché la situazione è così preoccupante? Fondamentalmente per la stessa impostazione del Piano che è rimasto sostanzialmente identico nel passaggio dal governo Conte II a quello Draghi. Si tratta di 191,5 miliardi (cui si aggiungono i 30,6 miliardi del Fondo complementare) che si distribuiscono su 6 missioni, 16 componenti e ben 151 investimenti che, a loro volta, richiedono l'indizione di gare pubbliche con annessa valutazione di fattibilità dei progetti. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la spesa è ferma al 12% di cui la metà è relativa a crediti di imposta, ossia a provvedimenti fiscali varati prima del Pnrr stesso oppure rifinanziati. Basti pensare che l'omologo transalpino da 100 miliardi, France Relance, si declina su tre assi ed è già al 62% di spesa.
Per l'Italia tutto è perduto, quindi? La risposta è negativa. Non è il caso di fasciarsi la testa purché si vada a Bruxelles con idee molto chiare. In primo luogo, entro la fine del mese prossimo bisogna presentare le modifiche al piano in modo da aver tempo di ridisegnare l'impianto entro l'estate eliminando ciò che non è fattibile. In seconda istanza, occorrerebbe battersi (obiettivo che Fitto si è assegnato) per cercare di ricomprendere i fondi del Pnrr nella programmazione comunitaria 2021-2027 la cui scadenza è nel 2029 per «guadagnare» tre anni di tempo.
Il terzo punto è quello oggettivamente più difficile: non bisogna solo semplificare e sburocratizzare ma bisogna anche aumentare la qualità del personale preposto. Gli organici locali del personale dedicato al Pnrr sono carenti e quando non lo sono non sono sufficientemente qualificati. Se si vuole arrivare al target, infine, è necessario attivare procedure semplificate che attualmente hanno applicazione limitata. In caso contrario, occorrerà agevolare Regioni e Comuni del Centro-Nord che hanno già detto di essere capaci di spendere dotazioni aggiuntive se assegnate.
C'è, poi, un quarto punto ed è quello finanziario. L'inflazione ha reso molte opere notevolmente più costose (dalla Tav alla realizzazione degli asili nido). Occorre compiere una scelta strategica sulle priorità perché, a meno di non aumentare il deficit, tutto non si potrà fare. L'ultimo punto è politico.
Le riforme previste (a partire dalla legge Concorrenza 2022) - anche se obtorto collo - andranno approvate. Come ha detto il Ceo di Intesa Sanpaolo , Carlo Messina, «tutti devono rimboccarsi le maniche, tutti devono fare la loro parte».
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