Gialloverdi alla prova del pluralismo Rai

Gialloverdi alla prova del pluralismo Rai

Da che pulpito. Sono tanti gli intellettualoidi radical-chic che oggi stanno chiedendo un salto di qualità alla Rai e accusano di immobilismo l'attuale consiglio d'amministrazione di cui faccio parte. A leggere gli articoli di certi commentatori, il prossimo rinnovo del cda diventerà un grande banco di prova per la coalizione gialloverde. La litania che ascoltiamo in questi giorni appare monotona: vedremo presto se il nuovo tandem di governo saprà dare spazio al pluralismo facendo piazza pulita di tutte le lottizzazioni e riportando un po' di voci discordi nelle stanze dei bottoni di viale Mazzini che hanno bisogno di cambiare aria. Chi non condivide queste legittime richieste? Sulla necessità di voltare pagina siamo tutti d'accordo. Ma questi «guru» sempre pronti a farci la morale si dimenticano che, a trascinare la tv pubblica verso l'appiattimento sono stati proprio gli ultimi governi di sinistra che prima hanno teorizzato e poi messo in pratica il pensiero unico negli studi di quella che una volta si chiamava Eiar. Se, infatti, ai tempi della Prima Repubblica - e anche dopo, con i governi Berlusconi -, la lottizzazione era la regola fissa in Rai (una rete a me, una rete a te, un programma a me, un programma te) in modo che anche le cosiddette minoranze potessero contare su una loro voce sia pur flebile, il governo Renzi ha semplificato la vecchia prassi dando vita ad una legge che ha trasformato la Rai da lottizzata a monopolista nel senso che è stata ridotto al lumicino il contraddittorio. Non solo: quella stesso provvedimento ha finito per svuotare le competenze dei consiglieri d'amministrazione che oggi sono stati messi in croce dagli stessi pensatori radical-chic. Un esempio personale: mi sono battuto contro i programmi a senso unico prima del referendum del dicembre 2016 e poi ho fatto battaglie sulle parcelle d'oro di Fazio e sull'allontanamento dalla Rai di Giletti ma la mia, assieme a poche altre, è stata solo una voce nel deserto anche per colpa di quella riforma. Oggi quegli stessi commentatori che hanno favorito il pensiero unico nella tv di Stato, invocano gli strani scherzi del destino - il pluralismo dell'informazione e chiedono alla nuova maggioranza di rispettare la voce delle opposizioni.

Ma tali, legittime, richieste cozzano proprio contro le norme varate dalla riforma che, per quanto riguarda il rinnovo del cda, troverà, paradossalmente, applicazione per la prima volta proprio in luglio: due consiglieri, scegliendo tra i tantissimi «curricula» arrivati in maggio, saranno eletti dalla Camera e due dal Senato mentre altri due verranno designati dal governo ed uno dai dipendenti Rai. Proprio grazie a questa riforma voluta da altri, i gialloverdi potrebbero, dunque, fare man bassa o quasi. Sta solo al loro buon cuore rispolverare, invece, quel pluralismo che altri avevano seppellito.

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