La prima gioia è il ritorno del rumore

Il primo rintocco del mattino è stato lo sgommare di un'auto. Il frusciare nelle orecchie di qualcosa che da due mesi era solo un ricordo

La prima gioia è il ritorno del rumore

Il primo rintocco del mattino è stato lo sgommare di un'auto. Il frusciare nelle orecchie di qualcosa che da due mesi era solo un ricordo. Quattro maggio, occhi appena aperti, stavolta è stato diverso, niente ricerca spasmodica di qualcosa che potesse farti riconosce il mondo. Il mondo, in effetti, si era fermato. Il secondo rintocco nel torpore dei primi minuti della giornata è stato la sgasata di un motorino. Seguito da un clacson, poi il fumo di un autobus che non ha solo odore, ma anche una tonalità percepibile. E poi ancora di nuovo, tutto da capo, infinite volte. Come ogni giorno, come in quei giorni. Capita di solito a chi abita vicino a una strada dove fino a prima del virus scorreva l'umanità, tanto che fino ad allora appunto ormai quel baccano quotidiano facevi fatica a sentirlo. Il rumore era silenzio. Ma il silenzio è diventato rumore. Fragoroso. Doloroso. Qualcuno ha scritto che il mistero del silenzio è che non fa mai lo stesso rumore. Per esempio è anche un suono di tromba, ma in questo caso la sua fine ha fatto uno strano effetto di felicità. La fine del silenzio, questo silenzio. Lo aspettavamo, quasi dimenticandoci che per una vita abbiamo sognato un posto dove sentire il nulla nelle orecchie. Travolti com'eravamo verso una corsa verso il niente fatto di troppe cose. Meeting, briefing, call, feedback, followers: la ricerca della felicità. Ma quale?

Il silenzio, si sa, è qualcosa di mistico. «Dio è il silenzio» ha detto una volta il religioso ebraico Eléazar Rokéah di Worms. Così come - di quel silenzio, «siamo diventati analfabeti» - secondo il cardinale José Tolentino de Mendonça. Chissà: avevamo bisogno di riascoltarlo, di viverlo a lungo, di riaccorgerci della sua esistenza. Di attraversare l'impotenza per capire che il rumore non è un fastidio, se la nostra strada porta verso qualcosa. Abbiamo pagato pegno, terribile. Siamo pronti, forse, dopo questo vuoto. È stato bello insomma: quell'auto, quel motorino, quel clacson, quel bus. Rifacciamolo ancora. Non fermiamolo.

Non torniamo a quella falsa tranquillità che ha sovrastato il periodo più brutto della nostra vita. Non torniamo all'assenza di rumore, perché ormai abbiamo capito: il silenzio ne fa un sacco. E poi, senza più quel silenzio, magari ritroveremo anche Dio.

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