Benito Mussolini, come ha scritto su queste pagine lo storico Francesco Perfetti, è stato - al di là del giudizio della storia come uomo politico - uno dei più grandi giornalisti del suo tempo (e il primo a usare la stampa come arma di propaganda)... Per ripercorrere la storia del Mussolini giornalista, il Giornale fino al 31 agosto pubblicherà ogni giorno un articolo del futuro Duce. Oggi leggiamo il primo fondo sul "Popolo d'Italia" datato 15 novembre 1914.
All'indomani della famosa riunione ecumenica di Bologna, nella quale - per dirla con una frase alquanto solenne - fui "bruciato", ma non "confutato", io posi a me stesso il quesito che oggi ho risolto creando questo giornale di idee e di battaglia. Io mi sono dimandato: debbo parlare o tacere? Conviene che mi ritiri sotto la tenda come un soldato stanco o deluso, o non è invece necessario che io riprenda - con all'altra arma - il mio posto di combattimento? Vivere o morire, sia pure inghirlandato di molti elogi... postumi, alcuni dei quali avevano la deliziosa insincerità delle epigrafi pei defunti? Sicuro come sono che il tempo mi darà ragione e frantumerà il dogma stolto della neutralità assoluta, come ha spezzato molti altri non meno venerabili dogmi di tutte le chiese e di tutti i partiti, superbo di questa certezza ch'è in me, io potevo aspettare con coscienza tranquilla. Certo, il tempo è galantuomo, ma qualche volta è necessario andargli incontro.
In un'epoca di liquidazione generale come la presente, non solo i morti vanno in fretta come pretendeva il poeta, ma i vivi vanno ancor più in fretta dei morti. Attendere, può significare giungere in ritardo e trovarsi dinnanzi all'inesorabile fatto compiuto, che lamentazioni inutili non valgono a cancellare. Se si fosse trattato e si trattasse di una questione di secondaria importanza, non avrei sentito il bisogno, meglio, il "dovere", di creare un giornale: ma, ora, checché si dica dai neutralisti del socialismo conservatore, una questione formidabile sta per essere risolta: i destini del socialismo europeo sono in relazione strettissima coi possibili risultati di questa guerra; disinteressarsene significa staccarsi dalla storia e dalla vita, lavorare per la reazione e non per la Rivoluzione Sociale. Ah no! I socialisti rivoluzionari italiani - sian essi guidati dal raziocinio o sospinti da oscure, ma infallibili intuizioni sentimentali - sanno qual è il grido che conviene lanciare al proletariato italiano. La neutralità non può essere un dogma del socialismo. Esisterebbero dunque solo nel socialismo e per giunta, nel socialismo italiano, delle verità "assolute" che possono sfidare impunemente le ingiurie del tempo e le limitazioni dello spazio, come le verità indiscutibili e eterne della rivelazione divina? Ma la verità assoluta attorno alla quale non si può più discutere, che non si può più negare o rinnegare, è la verità morta; peggio, è la verità che uccide. Noi non siamo, noi non vogliamo esser mummie perennemente immobili con la faccia rivolta allo stesso orizzonte, o rinchiuderci tra le siepi anguste della beghinità sovversiva, dove si biascicano meccanicamente le formule corrispondenti alle preci delle religioni professate; ma siamo uomini e uomini vivi che vogliamo dare il nostro contributo, sia pure modesto, alla creazione della storia. Incoerenza? Apostasia? Diserzione? Mai più. Resta a vedersi da quale parte stiano gli incoerenti, gli apostati, i disertori. Lo dirà la storia domani, ma la previsione rientra nell'ambito delle nostre possibilità divinatorie. Se domani ci sarà un po' più di libertà in Europa, un ambiente, quindi, politicamente più adatto allo sviluppo del socialismo, alla formazione delle capacità di classe del proletariato, disertori ed apostati saranno stati tutti coloro che al momento in cui si trattava di agire, si sono neghittosamente tratti in disparte: se domani - invece - la reazione prussiana trionferà sull'Europa e - dopo alla distruzione del Belgio, - col progettato annientamento della Francia - abbasserà il livello della civiltà umana, disertori ed apostati saranno stati tutti coloro che nulla hanno tentato per impedire la catastrofe. Da questo ferreo dilemma non si esce, ricorrendo alle sottili elucubrazioni degli avvocati d'ufficio della neutralità assoluta o ripetendo un grido di "abbasso" che prima della guerra poteva avere un contenuto e un significato, ma oggi non lo ha più. Oggi - io lo grido forte - la propaganda antiguerresca è la propaganda della vigliaccheria. Ha fortuna perché vellica ed esaspera l'istinto della conservazione individuale. Ma per ciò stesso è una propaganda anti-rivoluzionaria. La facciano i preti temporalisti e i gesuiti che hanno un interesse materiale e spirituale alla conservazione dell'impero austriaco; la facciano i borghesi, contrabbandieri o meno, che - specie in Italia - dimostrano la loro pietosa insufficienza politica e morale; la facciano i monarchici che, specie se insigniti del laticlavio, non sanno rassegnarsi a stracciare il trattato della Triplice che garantiva - oltre alla pace (nel modo che abbiamo visto) - l'esistenza dei troni; codesta coalizione di pacifisti sa bene quello che vuole e noi ci spieghiamo ormai facilmente i motivi che inspirano il suo atteggiamento. Ma noi, socialisti, abbiamo rappresentato - salvo nelle epoche basse del riformismo mercatore e giolittiano - una delle forze "vive" della nuova Italia: vogliamo ora legare il nostro destino a queste forze "morte" in nome di una "pace" che non ci salva oggi dai disastri della guerra e non ci salverà domani da pericoli infinitamente maggiori e in ogni caso non ci salverà dalla vergogna e dallo scherno universale dei popoli che hanno vissuto questa grande tragedia della storia? Vogliamo trascinare la nostra miserabile esistenza alla giornata - beati nello statu quo monarchico e borghese - o vogliamo invece spezzare questa compagine sorda e torbida di intrighi e di viltà? Non potrebbe essere questa la nostra ora? Invece di prepararci a "subire" gli avvenimenti preordinando un alibi scandaloso, non è meglio tentare di dominarli? Il compito di socialisti rivoluzionari non potrebbe essere quello di svegliare le coscienze addormentate delle moltitudini e di gettare palate di calce viva nella faccia ai morti - e son tanti in Italia! - che si ostinano nell'illusione di vivere? Gridare: noi vogliamo la guerra! non potrebbe essere - allo stato dei fatti - molto più rivoluzionario che gridare "abbasso"?
Questi interrogativi inquietanti, ai quali, per mio conto, ho risposto, spiegano l'origine e gli scopi del giornale. Questo ch'io compio è un atto d'audacia e non mi nascondo le difficoltà dell'impresa. Sono molte e complesse, ma ho la ferma fiducia di superarle. Non sono solo. Non tutti i miei amici di ieri mi seguiranno; ma molti altri spiriti ribelli si raccoglieranno attorno a me. Farò un giornale indipendente, liberissimo, personale, mio. Ne risponderò solo alla mia coscienza e a nessun altro. Non ho intenzioni aggressive contro il Partito Socialista, o contro gli organi del Partite nel quale intendo di restare, ma sono disposto a battermi contro chiunque tentasse di impedirmi la libera critica di un atteggiamento che ritengo per varie ragioni esiziale agli interessi nazionali e internazionali del Proletariato. Dei malvagi e degli idioti non mi curo. Restino nel loro fango i primi, crepino nella loro nullità intellettuale gli ultimi. Io cammino! E riprendendo la marcia - dopo la sosta che fu breve - è a voi, giovani d'Italia; giovani delle officine e degli atenei; giovani d'anni e giovani di spirito; giovani che appartenete alla generazione cui il destino ha commesso di "fare" la storia; è a voi che io lancio il mio grido augurale, sicuro che avrà nelle vostre file una vasta risonanza di echi e di simpatie.
Il grido è una parola che io non avrei mai pronunciato in tempi normali, e che innalzo invece forte, a voce spiegata, senza infingimenti, con sicura fede, oggi: una parola paurosa e fascinatrice: guerra!15 novembre 1914
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.