Io saluto con ammirazione devota e commossa le bandiere vermiglie che dopo aver sventolato una prima volta nelle strade e nelle piazze di Pietrogrado in un pallido nevoso mattino di primavera, sono diventate oggi l'insegna dei reggimenti che il 1° luglio sono andati all'assalto delle linee austro-tedesche in Galizia e le hanno espugnate.
Io m'inchino davanti a questa duplice consacrazione vittoriosa, contro lo czar prima, contro il Kaiser oggi. Non soluzione di continuità fra le barricate e le trincee; fra il sacrificio cruento per abbattere la tirannia interna ieri e lo sforzo ancora sanguinoso per infrangere la tirannia esterna di uno Stato di predoni e di assassini.
L'antitesi, non necessaria, anzi artificiosa fra la rivoluzione e la guerra è composta. Io non ho mai disperato, definitivamente. Non ho mai creduto che la Russia repubblicana volesse perdersi. Le vicende tempestose e complesse di questi mesi possono aver prodotto delle oscillazioni sulla valutazione della situazione russa. Se l'imperversare di Lénine e dei suoi gregari, spinse l'opinione pubblica occidentale al pessimismo, una voce profonda, un senso d'intuizione, ritornava la mente all'ottimismo ed io chiedevo ai miei amici che volessero «accordare un po' di credito morale e politico» alla giovane repubblica slava. C'è dell'impazienza nel mondo: ecco spiegata la ragione di molti giudizi ostili sulla nuova Russia. Non più tardi d'ieri, Francesco Coppola - il leader filosofico del nazionalismo italiano - si gettava sulla Rivoluzione russa con tutte le collere e le esasperazioni di un uomo che ha bevuto e si è ubriacato di De Maistre e che non ammette altre forme di convivenza politica e di disciplina sociale, all'infuori di quelle del pre '89. L'onorevole Pantaleoni, in un articolo sulla Vita Italiana, rivelava, a proposito della Russia, il suo animo ardente per la corda insaponata. Entrambi sbofonchiavano la stasi dell'esercito russo, e ne rendevano responsabile la Rivoluzione.
Ecco gli avvenimenti smentire clamorosamente la tesi reazionaria del nazionalismo e la tesi non meno reazionaria di Zimmerwald. Lungi dall'averne diminuita l'efficienza morale, la Rivoluzione ha esaltato le energie e la combattività dell'esercito russo. Non c'è forse nel proclama di Kerensky un'eco, non attenuata dalla distanza, di quegli ordini del giorno travolgenti che spingevano alle battaglie «l'esercito scalzo cittadino» di Francia e lo lanciavano alle calcagna dei re congiurati contro la Rivoluzione? E nelle «ondate» che si sono avvicendate il 1° luglio sulle trincee nemiche di Galizia, non trovate, voi, quello stesso impeto eroico, quello spirito di abnegazione sino alla morte, che infiammava i sanculotti a Valmy?
E Kaniuchi, l'oscura borgata galiziana, non avrà la sua luce di gloria, come il villaggio francese? Ma insieme colla tesi nazionalista, fatta a pezzi dal risveglio moscovita, ecco Zimmerwald che più si avvolgeva nel sudario della sua sterilità.
Lénine ha chiamato il popolo di Pietrogrado a raccolta, proprio alla vigilia dell'offensiva, ma non ha potuto impedire l'evento. Il tentativo è stato fatto, in forme più modeste e superficiali, anche in altri paesi, ma con identico risultato.
Il contadino russo, che aveva abbandonato le trincee per andare alla terra, per prendere possesso una volta per sempre della terra, ha compreso coll'orientazione profonda delle anime non inquinate dalle teologie terrestri e divine, che la pace separata sarebbe stata un tradimento e che la pace universale non era possibile senza la disfatta della Germania. Una voce misteriosa, ma suaditrice, pareva dire al mugic russo: se tu non allontani la minaccia tedesca, le terre non saranno tue. Domani, i nuovi padroni, ridaranno il potere agli antichi, e la tua schiavitù sarà saldata con un nuovo anello più pesante di quello che hai spezzato.
Kerensky ha raccolto queste voci segrete, le ha fuse e confuse insieme; ha ridato un'anima a un organismo che non si disfaceva - come pensavate voi reazionari di tutte le scuole! - ma presentava soltanto gli inevitabili disordini, le esuberanze e - perché no? - le follie della giovinezza ritrovata; e quest'organismo - oggi - è in grado di compiere lo sforzo vittorioso segnalato dalle cronache militari. Chi avrebbe detto che un giorno le bandiere rosse sarebbero state concesse in premio ai reggimenti vittoriosi? Le bandiere rosse piantate sulle trincee galiziane hanno il valore estremo di un simbolo. È la Rivoluzione che non teme la guerra; è la guerra che salva la Rivoluzione. È la fatica che si sostituisce all'ignavia, il movimento che uccide l'inerzia, è l'azione che fa giustizia di tutte le parole inutili, è il sangue, necessario ancora e sempre, per fecondare le forme superiori della vita.
Dopo il periodo della «fraternizzazione», le truppe russe insegnano ai servi del Kaiser, coll'unico argomento possibile ed efficace: il cannone, come si battono i popoli per salvaguardare la loro e la libertà del mondo. Un anno fa, noi sentimmo il trotto serrato dei cosacchi risuonare verso le strade dell'Occidente e nel cuore sobbalzarono le speranze: oggi è il passo grave dei battaglioni di Kerensky che suscita la nostra commozione. È la Russia che torna all'Occidente e all'Europa. Le bandiere colle aquile imperiali non resisteranno alle bandiere rosse della Rivoluzione.
Bandiera rossa la s'innalzerà anche sul castello di Potsdam quando gli eserciti della Rivoluzione e delle democrazie occidentali avranno schiantato la Germania degli Hohenzollern e di Scheidemann. Nessun'altra via è aperta. Non v'è altro mezzo. Quel giorno, correranno pel mondo gli entusiasmi che salutarono la caduta della Bastiglia. Bisogna serrare i denti, irrigidire i muscoli, cementare le anime, non vedere, non volere, non tendere ad altro scopo: vincere.
Per la libertà delle Nazioni, delle moltitudini.
Fu detto che questa è una guerra rivoluzionaria: ecco,
infatti, le bandiere rosse alla testa degli eserciti. Presentiamo le armi ai soldati della Rivoluzione. A quella che ha trionfato in Russia e riceve oggi, sui campi di Galizia il crisma sacro della vittoria.5 luglio 1917
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