Giudice molestatore graziato dal gip: è vero, ma archivio

Come i maiali nel libro di George Orwell La fattoria degli animali, alcuni magistrati sono più uguali degli altri di fronte alla legge.

Giudice molestatore graziato dal gip: è vero, ma archivio

Come i maiali nel libro di George Orwell La fattoria degli animali, alcuni magistrati sono più uguali degli altri di fronte alla legge, e questo in fondo lo sapevamo già. Ma di fronte a reati odiosi come le molestie sessuali sul posto di lavoro, specie se esercitati da una posizione di comando, ci si aspetterebbe un po' di sensibilità in più invece il #MeToo non indossa la toga. Si era capito già dopo le rivelazioni dell'ex pm Luca Palamara, che di fatto hanno consentito al pasticciaccio brutto tra il procuratore Giuseppe Creazzo e la pm Alessia Sinatra di venire alla luce, perché la magistrata preferì tacere la violenza subita «per tutelare l'istituzione» sebbene per sua ammissione sia stata «la decisione più difficile e sofferta della mia vita professionale», salvo poi chiedere all'ex leader Anm di sollecitare la bocciatura dello stesso Creazzo nella corsa all'incarico direttivo per la guida della procura di Roma. Il caso scoppiò e l'effetto mediatico azzoppò il procuratore. Invece per la molestia il numero uno della Procura di Firenze se l'è cavata con due mesi di anzianità persi. Un buffetto del Csm o poco più.

Un caso isolato? Non proprio. Qualche settimana fa il presidente di un tribunale, da mesi al centro di un caso giudiziario che sfiora un esponente di una forza politica di primo piano, era stato accusato da una giudice di molestie sessuali. Eppure se l'è cavata con molto meno rispetto a Creazzo. Il gip di Roma (dove è finito il fascicolo) per colpa delle «incongruenze in ordine al narrato della persona offesa (come se raccontare di aver subito abusi fosse semplice, ndr)» ha deciso di archiviare il caso. Ma la molestia c'è stata o no? Per il giudice le incongruenze della vittima «non sono tali da indurre il sospetto di un intento calunniatorio», quindi le molestie sono vere. Ma le incongruenze, si legge nell'archiviazione datata 23 novembre 2021, «intaccano sensibilmente l'attendibilità delle dichiarazioni accusatorie rese, sì da non consentire, in vista di un futuro dibattimento caratterizzato dal meccanismo delle contestazioni, una prognosi di elevata probabilità di condanna dell'indagato».

Insomma, una volta la prova si formava nel processo, unico luogo deputato alla definizione di una verità giudiziaria al di là di ogni ragionevole dubbio. In questo caso, siccome la giudice (pur denunciando una molestia vera) si sarebbe contraddetta, difficilmente per il gip l'accusa reggerebbe in un processo. E quindi siccome le possibilità di condannare il presidente sporcaccione sono poche, cosa lo facciamo a fare? Alla faccia della verità. Ma le prove? Se si fossero cercate, forse sarebbero saltate fuori. Invece nessun telefonino è stato passato al setaccio, nessuna mail controllata, non si è voluto indagare sull'acredine che dopo il rifiuto della donna di cedere alle avances si sarebbe materializzato in una serie di ritorsioni sul posto di lavoro. «Controllate e lo scoprirete», dicevano i legali, ma il pm che indagava non ha ritenuto che servisse.

Tanto che l'avvocato del presidente del Tribunale era talmente sicuro che sarebbe andata a finire così da anticipare ai difensori la richiesta di archiviazione avanzata dal pm, violando una prassi che vede la parte offesa prima destinataria di ogni comunicazione. Anche le regole sono come i maiali di Orwell.

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