Giudici lenti: 12mila profughi illegali

Il Tribunale di Milano fermo alle richieste di asilo del 2018. Così tutti i migranti restano

Giudici lenti: 12mila profughi illegali
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Il Tribunale di Milano deve smaltire una montagna di richieste di protezione internazionale. Migliaia di pendenze, che significano migliaia di immigrati che per molti anni restano in attesa nel limbo dei senza status. Né titolari di asilo politico né destinatari di ordine di espulsione: fantasmi per le nostre istituzioni. L'agenzia Agi ha scandagliato i numeri di un fenomeno sommerso. I sei giudici milanesi assegnati alla sezione specializzata in immigrazione stanno oggi trattando le domande che risalgono all'ondata migratoria del 2018-2019. Ciascuno di loro ha sul tavolo circa 2mila cause pendenti.

Si tratta di ricorsi di persone cui le Commissioni territoriali della Prefettura hanno respinto la prima istanza. Tra le richieste di protezione internazionale, cioè di essere riconosciuti come rifugiati, ci sono anche quelle di protezione sussidiaria e di protezione speciale. La prima spetta a chi non rientra nella definizione di rifugiato, ma è comunque provato che se ritornasse nel Paese di origine rischierebbe di subire «un grave danno». La seconda a chi non può ottenere l'asilo politico, ma non può neppure essere espulso (se non per ragioni di sicurezza) perché questo comporterebbe la «violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare». La possibilità di ottenere la protezione speciale è stata abrogata dal decreto Cutro ma non in modo retroattivo. Quindi, vista l'estrema lentezza dell'iter, i giudici dovranno analizzare per molto tempo anche queste domande.

Nel 2022 in Italia sono state accolte 10.856 richieste di protezione speciale (dati del Viminale). Le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale sono venti in tutto il Paese. A Milano sono tre: poche, se si considerano i numeri degli immigrati che arrivano in città. In caso di impugnazione di un primo rigetto, molti richiedenti asilo aspettano anni prima che venga anche solo fissata la prima udienza in Tribunale. Una legge del 2011 tuttavia impone alla corte d'Appello di decidere «entro sei mesi» dalla presentazione del ricorso del migrante. E siccome il termine viene sempre e ampiamente sforato, molti richiedenti asilo hanno chiesto e ottenuto un risarcimento in base alla legge Pinto.

Spiega all'Agi l'avvocato milanese Paolo Oddi, esperto in materia, che la lentezza della procedura è ormai cronica. Poiché per arrivare davanti ai giudici, cioè all'inizio vero e proprio della causa, «ci vogliono 4 o 5 anni, molti migranti riescono poi a restare nel nostro Paese perché, quando arrivano davanti alla Corte, dimostrano di avere fatto un percorso virtuoso, trovando un lavoro stabile e costruendo legami e gli viene concesso un permesso speciale». La valutazione stessa delle cause è complessa e richiede tempo e la concessione o meno della protezione dipende anche da un certo margine di discrezionalità dei giudici che sono spesso chiamati a interpretare diverse fonti. Prosegue il legale: «Il richiedente ha l'onere probatorio (delle condizioni che in patria lo renderebbero un perseguitato, ndr), ma il giudice deve cooperare cercando riscontri. Se per esempio chi chiede protezione dice che c'è stata una rivolta nel suo Paese, il giudice, così come la Commissione, controllerà anche da siti considerati credibili, dai media e da altri canali. Gli interrogatori spesso durano molte ore.

La valutazione ha a che fare anche con la geopolitica». Due casi opposti: sì alla protezione a un 20enne ucraino che non voleva arruolarsi; no a un albanese che si diceva perseguitato sulla base di leggi tribali non scritte ancora vigenti in alcune zone del suo Paese.

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